19 March 2024

Domani è il compleanno di Zico: intervista e ricordo del Galinho

Mercoledì 2 marzo 2011

Il 3 marzo è un giorno di vari compleanni calcistici. Boniek ne compie 55, 46 per Piksi Stojković (altro mio grande idolo di tutti i tempi di cui sicuramente parlerò in futuro) per esempio; un amico, spesso presente nei commenti di questo sito, direbbe che è anche quello di Loris Pradella, che di anni ne fa 51. Domani però è una data speciale perché è il compleanno di Zico, nato alle 7 di mattina del 3 marzo 1953 nel quartiere di Quintino Bocaiuva, a Rio de Janeiro.

Pensando di fare cosa gradita ai lettori, ripropongo un’intervista da me realizzata a Tokyo quando il Galinho era selezionatore della nazionale giapponese. Era il marzo del 2003 e da allora è passato molto tempo. Venne pubblicata in una pagina intera del Messaggero Veneto in occasione dei vent’anni del suo arrivo a Udine.

Quel giugno del 1983…

Esattamente 20 anni fa, proprio in questi giorni, il Friuli e l’intera Italia calcistica furono scossi da una notizia bomba. Arthur Antunes Coimbra detto Zico, uno dei tre migliori giocatori al mondo dell’epoca, era stato acquistato dall’Udinese, una provinciale del calcio praticamente sconosciuta fuori dai confini patrii. A metà giugno del 1983 Zico faceva la sua prima visita in Friuli per conoscere la nuova realtà in cui si sarebbe calato, così diversa da quella brasiliana e della sua Rio de Janeiro. In tutto il Friuli l’entusiasmo era alle stelle. Il 22 giugno scendeva già in campo con i friulani per sei minuti contro il suo Flamengo per un ideale scambio di maglie.

Il 2 luglio il Presidente Federale Federico Sordillo pose un veto all’acquisto di Zico e di Toninho Cerezo da parte di Udinese e Roma, la gente scese in piazza e al termine di un lungo tira e molla finalmente il Galinho ritornò in Friuli per iniziare gli allenamenti e giocare le prime partite.

I tifosi friulani erano increduli: solo cinque anni prima la loro squadra era in Serie C e ora si stropicciavano gli occhi vedendolo saltellare in bianconero (all’epoca composto da un’unica striscia verticale nera) e dispensare sapienza calcistica in ogni sua movenza. Non c’era solo il campione brasiliano, ma anche Causio, Virdis, Mauro, De Agostini, Miano, Edinho, Gerolin. L’Udinese, che l’anno precedente era arrivata sesta, aveva tutte le carte in regola, a parte l’esperienza, per migliorare la sua posizione.

Il campionato iniziò sotto i migliori auspici con un sonante 0-5 in casa del Genoa con due reti del Galinho. Il 6 novembre l’Udinese strapazzò anche la Roma Campione d’Italia guidata da Falcão e Cerezo con una rete all’85’ di Zico lanciato da Causio. Gli oltre 45mila spettatori infreddoliti fecero letteralmente tremare le strutture dello stadio “Friuli” stracolmo di gente.

Purtroppo, come si sa, poi le cose andarono diversamente. Nonostante le 19 reti di Zico i bianconeri non riuscirono ad agguantare la qualificazione UEFA, Dal Cin se ne andò alla fine di quell’anno, Mazza chiese soldi alla gente attraverso il Cosmo [si veda la storia su questo sito] e la stagione successiva la squadra si frantumò.

Dall’inizio di quest’anno [2003] il cinquantenne Zico è diventato selezionatore della nazionale giapponese con l’obiettivo di qualificarsi per il Mondiale tedesco nel 2006. A Tokyo nei locali della Federcalcio si respira un’aria nuova. Tutti ti dicono che Gico-san, come lo chiamano qui, ha portato un nuovo modo di lavorare.

Dopo una breve attesa l’incontro con l’Idolo, semplice e disponibile come sempre. Leggermente ingrassato rispetto a quando giocava, ma sempre in forma. Sul suo volto subito appare un sorriso sapendo che qualcuno è venuto fino qui dal lontanissimo Friuli.

Una carriera tra Flamengo e Udinese

Cosa ti è rimasto del tuo periodo ad Udine?

Conservo ancora un ottimo ricordo della mia esperienza friulana. Sono sempre stato trattato benissimo da quelle parti. Sono specialmente contento di un aspetto: che la gente ha apprezzato il mio modo di essere e la mia famiglia. Sono cose che ti segnano.

E sul campo invece?

Credo che anche sul campo corrisposi alle attese. Fu veramente un peccato che la dirigenza dell’epoca ebbe dei problemi e le lotte tra il presidente Mazza e Dal Cin indebolirono la squadra. Dal Cin aveva un’ottima visione del calcio italiano e progetti per costruire una buona squadra. Quando fu costretto a lasciare il club eravamo tra i primi in classifica ma poi fummo abbandonati a noi stessi, includendo anche problemi di arbitraggio. Mazza non capiva niente di calcio.

Del secondo anno, a parte il tuo infortunio?

Per come il club venne trascurato fu già un ottimo risultato non essere retrocessi in Serie B. Se Dal Cin non fosse andato via sicuramente avremmo potuto fare bene e vincere qualcosa.

Sei ancora in contatto con qualcuno di quell’epoca?

Sì, soprattutto con Gerolin, De Agostini, Causio…

Poi rientrasti in Brasile ma nel 1985 ritrovasti sulla tua strada tale Márcio Nunes, terzino del Bangu e la sua entrata assassina…

Fu l’incidente più grave della mia carriera. Subii ben cinque operazioni chirurgiche al ginocchio e altre di minore entità. Nel Mondiale in Messico dovevo preparare l’arto per due ore prima di poter iniziare l’allenamento con gli altri.

Eri tornato nel tuo Flamengo. Cosa rappresenta per te questo club?

Il Flamengo per me è sempre stata come una seconda casa. C’ero arrivato ancora giovanissimo da dove vivevo, nel quartiere di Quintino. Fin da bambino ero tifoso del Flamengo ed ebbi la fortuna di giocare in un periodo in cui conquistammo praticamente tutto, inclusa la Coppa Intercontinentale nel 1981 qui a Tokyo battendo per 3-0 il Liverpool.

Ma anche dopo il mio ritorno dall’Italia vincemmo il campionato brasiliano nel 1987 e di quella squadra quasi tutti passarono per la Nazionale. C’era Sócrates, ma anche giovani cresciuti in casa che poi si sarebbero affermati, come Jorginho, Leonardo, Bebeto, Aldair. Purtroppo ora il club sta vivendo un momento difficile a causa di alcune pessime gestioni che hanno portato a far deporre il presidente. Ci saranno le elezioni a fine anno ed è necessario ristabilire credibilità per far rinascere il club. [Su invito di Patrícia Amorim, Presidentessa dei rubro-negros, nel maggio 2010 Zico era tornato al Flamengo direttore della sezione calcio, ma ha poi lasciato l’incarico lo scorso primo ottobre, ndr].

Segui ancora il calcio italiano?

L’ho sempre seguito. È cambiato molto. Penso che l’Italia abbia aperto la porta a troppi stranieri dimenticandosi di formare giovani, grandi giocatori italiani, specialmente attaccanti e centrocampisti. I club esagerano comprando stranieri soprattutto in queste posizioni. A mio parere in un calcio tricampione del mondo [era prima di Berlino, ndr] non può capitare che il Milan o l’Inter abbiano nove giocatori stranieri. Credo che gli stranieri siano necessari, ma solo quelli che apportano qualità. Le società dovrebbero essere più sensibili perché i giovani italiani finiscono per perdere gli stimoli sapendo che comunque non troveranno un posto in una grande squadra.

Anche perché ormai si prediligono i giocatori che corrono a quelli che sanno giocare la palla. Il calcio è cambiato molto. Credo sia stato positivo che il Brasile abbia vinto il Mondiale [nel 2002, ndr] perché ha valorizzato quest’aspetto: possedeva tre artisti come Ronaldo, Rivaldo e Ronaldinho che si sono rivelati fondamentali. La Germania è arrivata in finale per il talento di Kahn e Ballack. Ma quando hai una buona squadra è il talento che risolve le stiuazioni, altrimenti capita come con la Francia: aveva una buona squadra ma Zidane non ha dato il suo tocco ed è affondata. Lo stesso dicasi per l’Argentina di Verón e il Portogallo di Figo. Sono i talenti che ti fanno vincere, non la tattica! La tattica è solo uno strumento per far crescere il talento. Purtroppo oggi ci sono pochi giocatori talentuosi ma quando ne hai in mano qualcuno dovresti lavorare per loro.

Forse manca lo spazio per un certo tipo di giocatori?

Infatti. Si vede per esempio che oggi nelle categorie giovanili si preferiscono i giocatori alti. Se io avessi iniziato a giocare oggi non so se a tredici o quattordici anni avrei avuto qualche possibilità. Se guardi le nazionali più importanti tutte hanno là davanti un centravanti da 1,90. Questo perché nel calcio di oggi spesso si segna e si vince su palle inattive, dal calcio d’angolo, punizioni o semplicemente buttando la palla in area.

Anche in Brasile?

Anche da noi molto è cambiato e vengono fatte queste preferenze. Mi auguro comunque che in Brasile le qualità tecniche non si perdano mai.

Riesci a vedere anche l’Udinese?

La seguivo di più quando stavo in Brasile. Ora magari ci riesco solo quando gioca contro la Reggina o il Parma [le squadre in cui all’epoca militavano Nakamura e Nakata, ndr].

Cosa pensi dei friulani?

Negli ultimi anni hanno disputato dei buoni campionati. I momenti più importanti sono stati con Bierhoff e con Amoroso, che a Udine aveva fatto molto bene. Credo che potrei ancora essere utile in qualche modo, ma forse le persone là non mi cercano pensando che io voglia avere una parcella. Se do dei consigli non è per essere pagato ma per le amicizie che ho, per l’affetto che ancora nutro per l’Udinese. È la stessa cosa nel Flamengo. Se io do un consiglio, l’Udinese va bene e la gente è contenta sarò contento anch’io. Non per questo devono pagarmi.

Era il massaggiatore Casarsa il tuo maestro di friulano?

Sì, ricordo ancora qualche frase, come Mandi o Anin a bêvi un tajut di vin!

Un’esperienza decennale in Giappone

Come arrivasti a giocare in Giappone?

Un italiano, Giorgio Galeffi, aveva organizzato qui a Tokyo delle sfide Europa contro Sudamerica per calciatori già in pensione. Avevo già lasciato il calcio nel 1989, due anni prima di giocare quella partita, ma un uomo d’affari mi vide e pensò che potevo ancora giocare.

E tu?

Io non ero interessato. Avevo smesso con il calcio giocato e avevo appena lasciato l’incarico di Ministro dello Sport in Brasile. Ma lui venne a Rio per comunicarmi la proposta del colosso siderurgico Sumitomo [proprietario dei Kashima Antlers ndr]. Pensai che mi volesse contattare per lavorare come tecnico, ma lui mi spiegò che era proprio per giocare. La squadra militava in Seconda Divisione e se si fosse piazzata tra le prime due avrebbe partecipato al primo campionato professionistico giapponese della storia che si sarebbe disputato nel 1993. Così iniziai di nuovo a prepararmi, mi allenai con il Flamengo, arrivammo secondi in campionato e io fui il capocannoniere.

All’esterno dello stadio del Kashima c’è addirittura una tua statua.

Quando arrivai avevo 38 anni ma la differenza tecnica era immensa e bastava un minimo di condizione fisica per riuscire. Oltre a giocare mi chiesero di dare le indicazioni per realizzare l’intera struttura del Kashima affinché potesse diventare una potenza del campionato giapponese. In un anno la Sumitomo costruì uno stadio e un centro di allenamento, delle strutture meravigliose usate anche durante la Coppa del Mondo del 2002. Vi portai alcuni giocatori e già nel primo anno il Kashima fu campione. Ancora oggi continua ad essere all’avanguardia nel calcio giapponese [all’epoca allenatore era Toninho Cerezo, ndr].

Così iniziò il professionismo in Giappone?

In poco tempo il Giappone con la sua dedizione, impegno e forza economica, è riuscito a diventare Campione d’Asia [nel 2000 sconfiggendo in finale l’Arabia Saudita per 1 a 0; ma come si sa è capitato anche quest’anno, sotto la guida di Zaccheroni, ndr]. Con quel successo è diventato un punto di riferimento in questo continente facendo sì che migliorassero anche gli altri paesi asiatici.

Ma ora il livello del campionato è sceso?

Non direi. Credo invece che il valore calcistico del Giappone si sia stabilizzato. Questo Paese non può permettersi di avere nove giocatori in Europa. Se Inamoto, Nakamura, Ono, Nakata e gli altri giocassero qui sicuramente porterebbero negli stadi più tifosi. D’altra parte in Europa possono ottenere un’esperienza che sarà molto preziosa anche per la nazionale.

Ormai qui non vengono più stranieri famosi?

Per iniziare questo difficile percorso il Giappone investì molto in campioni che costavano parecchio. Fui tra i primi a crederci, poi arrivarono anche Lineker, Ramón Díaz, Littbarski, Leonardo, Jorginho, Dunga, Stojkovic, Hristo Stoičkov, Massaro, Schillaci, e tutti diedero un importantissimo contributo di qualità. Ma oggi nel calcio mondiale ci sono meno giocatori importanti sui quali investire.

I calciatori giapponesi sono migliorati?

Per forza. L’età media è di 23 anni per cui ne avevano 14 o 15 quando noi stranieri arrivammo. Così sono cresciuti vedendo il calcio in modo diverso rispetto ai giapponesi con cui noi giocavamo all’epoca.

Quali sono le difficoltà del tuo incarico?

Sono le stesse di qualsiasi selezionatore nazionale, non avere tempo per lavorare, ancor più con questi giocatori in Europa che non ho mai a disposizione: sono loro i titolari della nazionale! È così difficile riuscire ad amalgamare una squadra. Per fortuna in giugno disputeremo la Coppa delle Confederazioni.

Cosa ti aspetti da questa competizione?

Sarà una prova molto importante per noi: se il Giappone vuole veramente crescere è ora di ottenere risultati fuori dal proprio continente, cosa riuscita invece alle squadre africane. Nel nostro gruppo, oltre alla Francia che dovrebbe qualificarsi facilmente, ci saranno Colombia e Nuova Zelanda con cui disputeremo l’altro posto utile. Se riuscissimo a passare la prima fase sarebbe il primo risultato importante ottenuto fuori dall’Asia.

Hai problemi con la lingua?

Non parlo giapponese ma la lingua del calcio è universale. Quando arrivai non avevo interpreti: parlavo mescolando portoghese, inglese, giapponese ma quando scendevamo in campo funzionava. All’epoca i giocatori giapponesi venivano all’allenamento con penna e quaderno per prendere appunti su quello che spiegavo e prima di scendere in campo li ripassavano, come fossero a scuola. Quanto tempo è passato da allora!

Scheda

Arthur Antunes Coimbra nasce a Quintino, un sobborgo di Rio de Janeiro (Brasile) il 3 marzo 1953 da seu Antunes e dona Matilde ed è il più piccolo di sei fratelli. È sposato con Sandra de Sá, da cui ha avuto tre maschi: Júnior, Bruno e Thiago.

Nel 1967 entra nelle giovanili del Flamengo, la squadra più popolare di Rio in cui rimane fino al 1989, a parte la parentesi friulana. Con i rossoneri carioca disputa 730 incontri ufficiali segnando 508 reti e conquista 7 campionati di Rio, 4 campionati brasiliani, una Coppa Libertadores, una Coppa Intercontinentale.

Con i friulani gioca due campionati: con le sue 19 reti in 24 partite è vicecapocannoniere nel 1983/84. Ne segna altre 3 in 16 incontri nella triste stagione successiva minata da vari infortuni.

Debutta nella nazionale brasiliana nel 1976 segnando all’Uruguay una rete su punizione, la sua specialità. Con la Seleção segna 53 reti in 78 gare ufficiali e disputa tre mondiali (1978, 82, 86). In quelli del 1998 ne è il coordinatore tecnico.

Dal 1991 al 1994 gioca per la squadra giapponese dei Kashima Antlers, di cui successsivamente diviene direttore tecnico. Nel luglio 2002, all’indomani dei mondiali nippo-coreani, diventa selezionatore della nazionale giapponese con la quale nel 2004 vince la Coppa d’Asia. Il Giappone di Zico riesce anche a qualificarsi per i mondiali del 2006 in Germania, viene inserito proprio nel girone del Brasile, ma viene eliminato al primo turno.

Dopo quell’esperienza Zico capisce che può continuare la carriera di allenatore e viene contattato dal Fenerbahçe: con la compagine turca che presenta in campo diversi brasiliani (tra i quali anche lo straordinario Álex e successivamente Roberto Carlos) vince il campionato già al primo anno e nella stagione successiva raggiunge i quarti di finale della Champions.

Nel settembre 2008 firma per il Bunyodkor, la squadra della famiglia al potere in Uzbekistan, in cui gioca Rivaldo ma vi rimane solo per 4 mesi.

Successivamente allena anche il CSKA di Mosca e l’Olympiakos, per poi tornare in Brasile dove da maggio a ottobre 2010 è direttore della sezione calcio del Flamengo.

Una delle sue specialità erano i calci di punizione dal limite dell’area:

Per finire, una rete di Zico marcata in Giappone con il Kashima, il gol dello scorpione:

Comments

  1. FaBitu says

    Grande Ales! Ora per allora… allora per ora…
    E grande Zico ovviamente! Anche questa (tua) storia me l’ero persa…
    Non capisco perchè… ma nel leggere e guardare quanto sopra mi sono corsi ripetuti brividi lungo la schiena!
    Un salutone!!!

  2. endria says

    In quegli anni su di un muro a Osoppo o dintorni durante una gita domenicale con i miei genitori lessi su di un muro
    il tocco poetico di un genio sconosciuto: “Zico droghe furlane”… e nulla pare essere più vero di ciò.

  3. Purtroppo da qui non riesco a vedere i video… Comunque i 22 gol di campionato in maglia bianconera li conosco a memoria, anche se ne ho visti non molti dal vivo.
    Al “Friuli” ricordo un bellissimo contropiede in Udinese-Napoli 4-1 del 31 dicembre ’83, una doppietta punizione-rigore in Udinese-Avellino 2-1 ed un’altra punizione, nel campionato successivo per l’1-1 in Udinese-Inter.
    Il 2-1 è rimasto nella storia, lo firmò Paolo Miano che, dopo un fantastico slalom nella difesa nerazzurra, infilò il portiere dell’Inter, che, come mi ha fatto notare il Fra tempo fa, era il baffuto Recchi…
    Mi piacerebbe invece rivedere la doppietta siglata dal Galinho negli ottavi di Coppa Italia al “Friuli” nel derby contro la Triestina, che ci qualificò ai quarti dopo lo 0-0 del “Grezar”.
    Comunque per me il ricordo di Zico provoca nello stesso tempo forte emozione (eh sì, droghe furlane!!), nostalgia e rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato…. Il finale fu amaro, anche se il Galinho ha conservato un ottimo ricordo del Friuli.

    P.s.: strano che tra le frasi “insegnate” a Zico da Casarsa non sia saltata fuori la famosa “Buse i fruts!” (mi scuso se la grafia friulana non è corretta…)

    • eh le reti al grezar sara’ difficile trovarle (a meno che qualcuno non le abbia registrate…)
      😉
      in realta’ quando gli ho fatto la domanda sul furlan anch’io pensavo la prima frase fosse quella, invece (stranamente) non e’ uscita.
      si, galo fa rima con nostalgia e rimpianto ma anche con fortissime emozioni…
      g

  4. Rivedendo le immagini di udinese-roma, mi devo clamorosamente intromettere anch’io in questi ricordi prettamente destinati a calciofili puri e più assidui del sottoscritto. L’unica partita che vidi di zico fu proprio quella con la roma campione d’italia ed ero naturalmente in curva nord dove lui venne ad esultare per poi essere strattonato al rientro a centrocampo da quel simpaticone-baffone ligure di pruzzo, famoso per i 400m all’olimpico…
    Ricordo molto bene però anche le movenze di falcao e cerezo, a dir la verità, ma la gioia finale fu incredibile per tutto lo stadio forse perchè il goal venne alla fine della partita.
    Io, LR, nato non il 3 come zico boniek e pixie, ma il 2 marzo come Lou Reed, non alle 7 di mattina ma a mezzogiorno e mezzo, non a rio ma a tolmezzo…passo, chiudo e mi scusoper questi miei brevi ricordi.
    Ps si noti nel video la faccia di zico quando mazza spiega la differenza tra il concetto di immagine e quello di prestazione nel rispetto del contratto…

    • che culo, beccasti proprio la partita giusta!
      si, anch’io ero ovviamente allo stadio.
      bravo che citi pruzzo e i 400 m… infatti proprio da quell’episodio usci’ un casino che porto’ all’ammonizione per chi esultava fuori dal rettangolo di gioco… proprio loro e i 400 m…
      auguri di nuovo!
      a

  5. Christian Antonio Francisco says

    un nodo allo stomaco, vibrazioni alla faccia, che diventano brividi. grazie per questo regalo.

  6. grande bre e grandissimo arturo! ah ce biei timps…
    e allora il friuli, che aveva le tribune lontane dal campo come adesso e come adesso dalle curve non capivi se segnava virdis o mauro, era pieno come un uovo, anche contro il catania o l’avellino.
    altri tempi, altre storie, altri spessori umani (nonostante i pescecani sguazzassero già). ma soprattutto un altro friuli (inteso come regio-nazione, non come stadio)!
    mandi con saudade da un altro marzolino coetaneo di bruno pizzul (come giorno di nascita, non di anno).

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