19 March 2024

Dopo Gotovina, altro scandalo all’Aja: assolto anche l’albanese Haradinaj

Sabato 1 dicembre 2012

Giovedì scorso si è consumato un nuovo scandalo al Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra in ex Jugoslavia dell’Aja (ICTY). Dopo i Generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač assolti lo scorso 16 novembre, la Corte non ha ritenuto colpevole neanche l’albanese del Kosovo Ramush Haradinaj, l’ex comandante dell’UÇK (Esercito per la Liberazione del Kosovo) accusato insieme al suo parente Lahi Brahimaj e a Idriz Balaj di crimini contro l’umanità e di pulizia etnica. Degli imputati importanti, ormai in carcere sono rimasti praticamente solo serbi. La decisione getta ulteriori ombre sulla già scricchiolante credibilità del Tribunale.

Haradinaj nacque nel 1968 da una potente famiglia non lontano da Dečani, vicino a dove sorge il meraviglioso monastero serbo medievale, tuttora assediato dagli albanesi.

Nel 1989 era emigrato in Svizzera ma nel 1998 rientrò in Kosovo per combattere con l’UÇK, di cui divenne comandate della regione occidentale (Metohija).

Finita la guerra, in cui sono stati uccisi due suoi fratelli, Ramush si diede alla politica fondando l’Alleanza per il Futuro del Kosovo, partito che si piazzò al terzo posto alle elezioni dell’ottobre 2004. Alleatosi con gli altri due partiti, Haradinaj divenne Primo Ministro ma dopo un centinaio di giorni al potere fu costretto a dimettersi. L’accusa formalizzata dal Tribunale Internazionale riguardava crimini di guerra e contro l’umanità, più specificamente minacce, torture, violazioni, deportazioni, rapimenti, omicidi e stupri nei confronti di civili serbi (ma anche di rom e albanesi non allineati) nel periodo 1998-99.

Nel marzo 2005 si consegnò spontaneamente all’Aja e nel 2008 venne scagionato dal Tribunale insieme a Balaj, comandante dell’unità speciale delle Aquile Nere, mentre Brahimaj, membro dell’UÇK di stanza a Jablanica, era stato condannato a sei anni. A sorpresa, nel luglio 2010 il processo era stato riaperto a causa delle pesanti intimidazioni contro i testimoni.

Ora tutti e tre, anche Brahimaj, sono stati assolti dal Tribunale (qui il comunicato ufficiale). Come accaduto con il processo Gotovina, i giudici hanno ammesso l’esistenza di tali crimini (soprattutto nel campo di detenzione di Jablanica) ma hanno ritenuto che non fossero imputabili a Haradinaj e agli altri, né è stato provato che esistesse un piano strategico per eliminare o espellere i serbi da quella regione.

Un assurdità, visto cos’è accaduto in Kosovo durante il conflitto ma soprattutto dopo l’entrata delle truppe NATO nel giugno 1999 (si veda più sotto).

Moltissimi albanesi del Kosovo considerano Haradinaj un eroe. Come già accaduto in Croazia due settimane fa, la lettura della sentenza è stata seguita su grandi schermi nelle piazze gremite di Priština. Si può immaginare quali siano state invece le reazioni in Serbia, sentitasi nuovamente tradita dall’Occidente. Dopo anni di fortissime pressioni internazionali per la cattura dei criminali più importanti (Karadžić e Mladić soprattutto), la consegna degli stessi e l’inizio dei processi, si è visto che nessuno viene ritenuto responsabile dei crimini commessi contro i serbi.

Come diceva qualcuno nei giorni scorsi nei commenti su questo sito, in Italia tali notizie quasi non vengono date. Tra i pochi che hanno raccontato questa tragedia alla televisione italiana (e probabilmente l’unico in prima serata) è stato Riccardo Iacona di Rai Tre. Nella sua inchiesta La guerra infinita sui traffici malavitosi tra Kosovo e Afghanistan aveva presentato un’immagine molto diversa rispetto alle rose e fiori (o semplicemente il nulla) a cui siamo abituati.

Molto interessante il pezzo dedicato da Iacona alla famiglia Haradinaj: qui dal minuto 3:20 si parla di Ramush:

Mentre questo estratto riguarda alcuni testimoni al processo Haradinaj assassinati nel 2004 e nel 2005:

Per chi lo volesse, si può vedere il servizio completo.

Crimini

Quello che è accaduto in Kosovo dall’entrata delle truppe NATO nel 1999 è uno scandalo di cui nessuno parla, con la minoranza serba spesso costretta a vivere rinchiusa in enclave grandi e piccole.

La cosiddetta “Comunità Internazionale” che nel 1999 era ufficialmente intervenuta per fermare la pulizia etnica, in questi tredici anni e mezzo ha permesso che gli albanesi ripulissero la provincia di tutte le altre etnie, e non si è opposta alla creazione di veri e propri ghetti in cui vive la popolazione serba. Circa 150 tra chiese e monasteri serbi sono stati distrutti.

Non è un segreto che il Kosovo sia diventato in questi anni il crocevia dell’eroina afgana e di altri traffici illeciti, in cui sono coinvolti i più importanti personaggi politici della regione.

In Kosovo sarebbero attualmente rimasti circa 100mila serbi, dei quali la metà nella zona nord, territorio contiguo al resto della Serbia, che arriva fino alla città divisa di Mitrovica. Circa 18mila vivrebbero nell’enclave più importante, quella di Gračanica e Lipljan, organizzata in diversi villaggi, mentre 14mila starebbero a Štrpce, nel sud. Il resto vive in una costellazione di villaggi più piccoli, in cui i serbi sono rinchiusi in piccoli territori circondati dal filo spinato. Per uscire, devono contare sull’aiuto dei blindati internazionali della KFOR che, in teoria, li “proteggono”.

Non fu così nel 2004, con il pogrom del 17 marzo, quando gli albanesi marciarono su tutte le enclave serbe della regione mettendole a ferro e fuoco sotto gli occhi dei soldati internazionali che non mossero un dito per fermarli.

Questa situazione assurda, con i mezzi di comunicazione internazionali che brillano per la loro assenza. E, come premio per i “progressi” ottenuti, gli Stati Uniti e dei suoi alleati (Italia compresa) hanno sostenuto l’indipendenza della regione, proclamata il 17 febbraio 2008 e a oggi riconosciuta da 96 stati al mondo (su 193 che siedono all’ONU): non l’hanno fatto cinque paesi dell’Unione Europea (quelli che hanno al loro interno problemi con minoranze), né è (ancora) accaduto alle Nazioni Unite anche per l’opposizione di Russia e Cina.

Non è un caso che alcuni hotel e ristoranti siano dedicati ad Aviano e in centro a Priština da anni campeggi una gigantografia di Bill Clinton, affiancata da qualche tempo anche da una sua statua a perenne ringraziamento.

Il “paese” è poverissimo e si sostiene solo sugli aiuti internazionali, gli indici di disoccupazione sono alle stelle, la crisi politica e sociale è evidente, con la criminalità legata o direttamente organizzata dal potere che controlla i lucrosi e variegati traffici, la corruzione è a livelli estremi, il dialogo con Belgrado non avanza.

Ma Haradinaj sta per tornare in patria come un eroe.

Di seguito, i collegamenti a tre articoli pubblicati in questo sito sull’argomento.

– Il viaggio fino all’enclave aperta di Gračanica, in occasione del decimo anniversario dei bombardamenti NATO sulla Serbia.

– Il reportage sulla città divisa di Mitrovica e sul pogrom del 2004 nelle piccole enclave serbe della zona.

– Un articolo sui tre anni dall’indipendenza del Kosovo.

 

Comments

  1. pazzesco, proprio quando la serbia aveva mollato Karadžić e Mladić e si poteva sperare in una condanna su tutti i fronti, questo è l’agghiacciante risultato
    e poi se non è stato provato “che esistesse un piano strategico per eliminare o espellere i serbi da quella regione”, allora non ha più senso neanche parlarne
    disgusto

  2. Grazie delle informazioni caro Alessandro,
    particolarmente preziose nel silenzio generale.
    Beppe

  3. non so se è la prospettiva della foto, ma la statua di clinton è sproporzionata; ha le gambe corte… sarà un caso? jebote

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