28 March 2024

Pesanti scontri nella seconda sfilata gay a Beograd

Lunedì 11 ottobre 2010

Si sapeva che prima o poi sarebbe accaduto di nuovo.

L’unica occasione in cui in Serbia riuscirono a organizzare una Gay Parade fu nel lontano 2001: allora, per la prima volta nella storia, gli ultras di Stella Rossa, Partizan e Rad (“Lavoro”, una delle storiche squadre belgradesi, famosa per avere dei tifosi conosciuti per non essere esattamente dei santarellini) fecero fronte comune per malmenare i malcapitati in parata. Da allora per molti anni si è cercato senza successo di ripetere l’avvenimento.

In molti paesi dell’Est gli omosessuali non hanno vita facile e devono vivere la loro condizione in modo clandestino. Le società uscite una ventina d’anni dal comunismo si fanno notare per la loro omofobia e le frange estremiste e nazionaliste sono pronte all’azione. Accade in Russia, come in Croazia e sicuramente anche in Serbia. La Chiesa ortodossa, come quella cattolica del resto, non vede di buon occhio i gay e lancia appelli alla famiglia.

A Beograd alla fine dell’anno scorso avevano tentato di organizzare la seconda sfilata gay della storia ma le tensioni erano altissime. Un amico riassumeva la situazione così: «I manifestanti dicevano “Noi siamo pronti” e gli ultras rispondevano “Anche noi”». Alla fine la manifestazione era stata rimandata.

Durante la partita Serbia-Estonia di venerdì sera si sono sprecati i canti delle frange estreme del tifo contro la Gay Parade che dopo molti tentativi era prevista per ieri, domenica: circa un migliaio, portavano uno striscione che diceva «Možemo zajedno!» (Insieme possiamo).

Parallelamente era stata organizzata anche un’altra manifestazione, anti parata e ufficialmente in favore dei valori legati alla famiglia, con circa 6mila persone, tra i quali molti hooligans. La polizia in tenuta antisommossa era schierata in massa per proteggere i manifestanti ma non è stato sufficiente: per qualche ora il centro di Beograd è stato messo a ferro e fuoco dagli ultras, presentatisi all’appuntamento nuovamente uniti. 140 i feriti, di cui 124 poliziotti; la polizia ha detenuto 207 persone.

Sono episodi sicuramente da condannare, ma le società nei paesi in transizione non si trasformano così facilmente, soprattutto in stati come la Serbia rimasti a lungo isolati (i visti per Schengen sono stati tolti solo lo scorso 19 dicembre) e in cui per una decina d’anni è prevalsa la legge delle mafie legate al nazionalismo e dei proventi della guerra.

Il Presidente Tadić ha evidentemente condannato gli incidenti, mentre i soliti soloni all’estero si sono affrettati ad affermare che «questa è la dimostrazione che la Serbia non è un paese democratico», o peggio ancora «fascista».

 

Comments

  1. C’è però da chiedersi perché i fatti del gay pride di Sarajevo del 2008 (casini e violenze) passarono pressoché inosservati e nel caso di Belgrado invece tutti pronti…

    Mi pare giustissima la tua constatazione sui paesi in transizione.
    Ci suole tempo, tempo e metodo.
    Non per giustificare ma i 6000 che hanno messo a ferro e fuoco la città sono figli di anni di isolamento e chiusura imposti dall’esterno e non scelti.
    In gabbia ci si incattivisce.
    Libertà di viaggiare e meno vincoli in generale faranno crescere e conoscere a tutti le fasce progressiste della società serba che già esistono.
    Se poi uno vuole vedere per forza altro cazzi suoi, resti nella sua ignoranza e si goda la sua visione parziale del cosmo serbo.
    Tipo quelli che a Guca se la menano a manetta per tre magliette “nazionalistiche” e non raccontano di tutto il bello che c’è, che poi mi chiedo che cazzo ne capiscano di quelle magliette scritte in cirillico…

    Viva Serbia.

  2. Chi e` questo Endria? Io lo conosco? Potrei prendere una sljivovica con lui, magari una DedaLjubovaca

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