Kakheti, mercoledì 19 agosto
Il ritmo è sempre serrato e le nostre guide non ci danno tregua. Stamattina si parte per la regione vinicola di Kakheti, nella parte orientale del paese. Là vivono gli zii di Giorgi, che ci ospiteranno per cena e per la notte. Ma la prima fermata è Davit Gareja, uno stranissimo monastero costruito nella roccia in un luogo isolato.
Quando si abbandona la statale ci si ritrova in mezzo ai campi, su una strada asfaltata ma abbastanza dissestata che si perde in mezzo ai prati falciati. In giro non si vede nessuno, solo un asinello, qualche casa persa prima di un paio di villaggi, una Lada ogni tanto, mandrie al pascolo, rapaci appollaiati che quando ci sentono spiccano il volo. In fondo le montagne.
Come sempre è Shalva a guidarci in questo panorama bucolico.
Si arriva in un posto assurdo, annunciato da una roccia che si erge sulle colline con una torre diroccata. È il complesso di Davit Gareja che in un paesaggio quasi lunare comprende 15 antichi monasteri.
Questa volta ci siamo portati i pantaloni per poterci cambiare ed evitare le ire dei monaci. Solo Furio li ha dimenticati, Shalva gli presta i suoi in cui però starebbe dentro due volte.
Su una diagonale di pietra si vedono le celle del monastero principale (Lavra), l’unico abitato dai monaci, ritornati solo da qualche anno dopo l’abbandono del periodo sovietico. Venne fondato dall’asceta siriaco Davit Gareja (da cui prende il nome) nel VI secolo ma poi crebbe notevolmente fino a ad avere 15 monasteri, quasi tutti distrutti in successive ondate.
Si possono visitare solo le parti più nuove di Lavra, compresa la Chiesetta di San Nicola (XVII secolo) e le altre più recenti in pietra, mattoni e legno.
A distanza si vedono le celle dei monaci ricavate nella roccia.
Le sorprese continuano. Si prende un sentiero che sale dietro al monastero, di fronte al tufo che permette una visione magnifica a perdita d’occhio sulle rocce colorate circostanti.
Si sale ancora fino a scollinare. Si apre poi un altro panorama su una pianura con un paio di laghi. La frontiera con l’Azerbaigian è vicinissima: è così complicato avere il visto per quel paese che sarebbe molto più facile attraversare qui.
Si continua a salire, fino all’altro monastero importante (Udabno), ora abbandonato. Le cappelle furono ricavate in grotte, adornate con affreschi del X-XIII secolo di cui poco è rimasto.
In quella principale i monaci consumavano i pasti frugali in delle specie di mangiatoie, uno di fronte all’altro.
Riprendendo il sentiero, raggiungiamo una chiesetta più recente, con due panchine per ammirare il panorama.
Scendiamo e riprendiamo la macchina: il cammino per tornare sulla strada principale è lungo.
È la stagione di angurie e meloni che nei villaggi vengono venduti a camion.
Sulla strada troviamo poi la churchkhela, famoso dolce tipico dalla strana forma a salsiccia, fatto con noci e succo d’uva.
Arriviamo a Sighnaghi quasi al tramonto. Sviluppatasi nel XVIII secolo grazie al re Erekle II, di cui abbiamo visto la tomba a Mtskheta [si veda la storia], questa bella cittadina raccolta dentro le sue mura, con la maggior parte delle case originarie dell’epoca. I restauri sono orientati a mantenere le linee architettoniche originali e si propone come centro per l’esplorazione della regione vinicola di Kakheti.
Su un monumento ai caduti del villaggio nella Guerra Patriottica sono scolpiti moltissimi nomi, molti dei quali appartenevano alle stesse famiglie.
Ormai è buio, tanto per cambiare siamo tardi, abbiamo già un languorino e gli zii di Giorgi ci aspettano per cena.
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