Diyadin, sabato 15 agosto
Avevamo sentito parlare di una pozza d’acqua calda sulfurea in un villaggio a circa 50 km da Doğubayazıt, chiamato Diyadin.
La Turchia orientale è molto polverosa, e un bagnetto ci vorrebbe proprio. Già pregustavo quella bellissima sensazione, dopo esperienze simili in varie parti del globo. In Islanda (la «Terra del Ghiaccio» secondo la sua traduzione), un’isola vulcanica, è qualcosa di normale: circa il 90% delle case islandesi è riscaldata grazie alle centrali geotermiche che sfruttano l’energia del vapore, disponibile a 300° C pochi metri sotto la superficie.
La “Laguna Blu” (Bláa Lónið) è la più famosa del centinaio di piscine naturali di acqua calda a cielo aperto del paese. È così chiamata per il colore turchese dell’acqua provocato dai minerali di origine vulcanica che, tra gli altri effetti, aiutano anche a combattere la psoriasi. Fantastica è la sensazione di stare immersi a 37-38º C mentre fuori l’aria è frescolina, con intorno una spianata di roccia vulcanica nera.
Si trova a 40 km dalla capitale e nacque per caso, dalle acque rilasciate dalla centrale geotermica di Svartsengi che si vede sullo sfondo. Nel 1982 un impiegato della centrale iniziò a bagnarsi a scoprì l’efficacia dei minerali. Sempre più persone ci andavano, finché l’accesso venne limitato: ora la zona è stata transennata in un moderno centro balneare (ovviamente a pagamento) con spogliatoi, bar, ponticelli di legno ed è diventata una delle località più visitate del paese.
Non fu così facile in Giappone. I giapponesi sono maniaci del bagno: ogni sera prima di cena, ovunque si trovino, si immergono nell’ofuro, un’abluzione nell’acqua calda che purifica il corpo e lo spirito. Una delle bellezze di quel paese vulcanico sono però gli onsen, delle pozze di acqua calda naturale, spesso divenuti degli organizzatissimi centri benessere. Alcuni anni fa riuscii a trovarne uno naturale a Hokkaidō, l’isola più settentrionale del Giappone già di per sè un territorio estremo: vicino al Lago Mashu allora ghiacciato ed in mezzo alla neve, con anche dei cigni sullo sfondo.
Più recentemente nel sudest della Bolivia, vicino alla fantasmagorica regione di Uyuni in cui sorge il più grande deserto di sale del mondo, uno dei posti più assurdi che abbia mai visto. Non lontano, oltre la Laguna Colorada, c’è una pozza di acqua calda a oltre 4200 metri di altitudine.
Anzi ce n’è due: mentre l’altra era piena di gente, la nostra guida ha avuto un’intuizione portandoci dove non c’era nessuno.
Queste erano le aspettative, sicuramente troppo alte. Con molta curiosità anche se non è prestissimo torniamo a Doğubayazıt e prendiamo poi la strada per Diyadin.
Ci fermiamo a fare benzina in uno strano distributore connotato da una palma di plastica gialla quasi fosforescente.
A parte questo, il paesaggio è come sempre spettacolare: da una parte l’ennesima visione dell’Ararat, in fondo alla prateria.
Dall’altra, le pendici della collina dalla cui siamo appena scesi, con appollaiato l’İshak-paşa Sarayı.
La strada è piena di camion, ma offre le solite visioni spaziali.
Arriviamo a Diyadin che il sole è già tramontato.
La pozza si trova a qualche chilometro oltre il centro abitato, seguendo un’altra strada dissestata. Al nostro arrivo la sorpresa è amara. Il posto non è proprio dei più invitanti, ma è comunque surreale, una vera chicca.
Parcheggiamo in un grande spiazzo vicino a dei pullmini che hanno trasportato delle donne fino qui.
Sembra una fiera di paese come c’erano una volta in Italia, con rivenditori di varie cose improbabili, nastri musicali impolverati, musica orientale mixata, salvagenti multicolori.
Poco oltre, due strutture decadenti di colore azzurrino con al centro una vasca a cielo aperto, separate per uomini e donne.
Ci affacciamo per vedere che aria tira ma la piccola piscina è affollatissima e non ci arrischiamo ad immergerci.
Qui viene incanalata l’acqua bollente e sulfurea che scende da un geyserino poco sopra.
Ci sono anche dei fumaioli.
Il panorama all’imbrunire tra colline, prati e fiumiciattoli non è da buttar via ed è un vero peccato che questa risorsa non sia sfruttata meglio.
Ma è la varia umanità a stupire. Bambini che scorrazzano, donne coperte, famiglie intere che campeggiano qui.
Un signore con la sua piccola in braccio ci offre anche del pollo appena fritto.
Ripartiamo quasi al buio, con la strada di sassi illuminata solo dai fari della Hyundai.
Di nuovo a Doğubayazıt con una fame nera ci precipitiamo in un altro simpatico ristorantino in cerca di carne.
Come sempre ce ne andiamo soddisfatti.
Dalla finestra si vedono gli autoblindo militari di pattuglia. Uscendo, sulla strada pedonale tutte le sale da tè sono piene di uomini baffuti. Un boato si ripete all’infinito: è il Galatasaray che ha appena segnato in diretta televisiva.
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