Venerdì 29 aprile 2011
Come si nota dai molti commenti anche su questo sito la semifinale di mercoledì tra Madrid e Barça non è finita al novantesimo ma continua nei dibattiti.
Dico subito che certi comportamenti (ripetuti peraltro) di alcuni giocatori del Barça, quali le varie simulazioni, sono da stigmatizzare e mi auguro che Guardiola faccia qualcosa per eliminarli al più presto (come la famosa reazione, ugualmente deprecabile, di accendere gli idranti dopo il ritorno con l’Inter). Ma ridurre il gioco espresso dal Barça a quest’aspetto mi sembra miope e riduttivo.
L’entratataccia di Pepe a gamba tesa che solo per caso non ha preso la tibia di Alves poteva essere punita con un giallo, ma anche con un rosso. Dal feroce dibattito, non solo su questo sito ma credo in tutto il mondo, si vede che i due schieramenti sono entrambi validi; anche gli ex arbitri consultati da programmi tv e giornali sono divisi.
Ma il punto non è (tanto) questo. Di nuovo al centro dell’uragano è Mourinho. La figura barbina (so to say) mercoledì sera, durante e dopo la partita, l’ha fatta lui. Il ripetuto «¿Por qué?… ¿Por qué?… ¿Por qué?… ¿Por qué?…», tirando fuori episodi precedenti, scomodando UNICEF, Villar e quant’altro è sembrato patetico. Lo stesso Guardiola nella famosa conferenza stampa di martedì precisava che non ha collaboratori il cui compito è prendere appunti e cercare dati utili da usare poi con la stampa. Caratteristica sfruttata appieno dal portoghese, maestro in questo tipo di cose, ovvero il «puto amo» della sala stampa.
Come scriveva qualcuno nei commenti di ieri, basta essere selettivi, concentrarsi solo sugli episodi che fanno comodo e il gioco è fatto. Tipo la rete in fuorigioco di Milito e il rigore negato ad Alves nell’andata dell’anno scorso contro l’Inter, ma anche la calpestata di Marcelo su Pedro di mercoledì, il rigore netto su Villa nel primo Clásico di questa serie o, come hanno giustamente fatto notare da queste parti, un episodio forse dimenticato risalente alla semifinale di andata del 2004 al “Dragão” tra il Porto di Mourinho e il Deportivo A Coruña: Jorge Andrade diede un calcetto da niente a Deco per scherzare con il suo amico (precedentemente insieme al Porto e compagno di nazionale) e invitarlo a non buttarsi [qui si può vedere il video]; venne ingiustamente espulso, poi nel ritorno i portoghesi espugnarono “Riazor” (0-1), passarono in finale e Mourinho vinse la sua prima Champions, sudata e non da vergognarsi come quella di Guardiola. Per la cronaca, nell’andata degli ottavi della stessa Champions Porto-Manchester United venne espulso anche Roy Keane per un fallo sul portiere Vítor Baía che venne accusato da Ferguson di aver simulato; ovviamente l’irlandese non giocò il decisivo ritorno a “Old Trafford”.
Ma appunto, così si potrebbe continuare all’infinito.
Poi è ovvio che se metti in campo una squadra con 4 difensori e 3 mediani e carichi i giocatori in modo che entrino in campo come delle molle impazzite e si avventino sugli avversari facendo falli continui, le possibilità che qualcuno dei tuoi venga espulso sono più alte. Ancor di più se in campo hai Pepe, assurto a simbolo (!) del gioco di Mourinho, lo stesso che due anni fa in un raptus di follia aggredì Casquero del Getafe già a terra [qui il video], un gesto deprecabile che gli costò ben 10 giornate di squalifica.
Addirittura sul tanto citato Settore (il blog-bibbia dei tifosi interisti in cui pullulano anche molti nostalgici nerazzurri di Mourinho), mi sembra che i pareri siano discordi e non tutti appoggino il portoghese. Per non parlare del guru Gianni Mura e di altri giornalisti e mezzi di comunicazione in Italia e all’estero.
Ma è interessante sentire cosa ne pensano i diretti interessati. Da un’inchiesta del Marca (uno dei due giornali sportivi di Madrid) si evince che il 72% dei lettori si sono espressi contro le dichiarazioni di Mourinho. Nei dibattiti e nelle discussioni di ieri accadeva lo stesso.
Ora, il Barça starà sicuramente antipatico a qualcuno (di più agli interisti nostalgici?) ed è normale quando si vince. Alla fine perdere la Copa del Rey aveva portato anche qualche aspetto positivo: dovendo lasciare qualche briciola ai blancos, la “coppetta” è andata benissimo, soprattutto di fronte a una Liga stravinta e a una possibile finale di Champions. Anche a livello psicologico, il Barça non arrivava alla semifinale nelle migliori condizioni né come favorito: diverse assenze in difesa, quella ancor più importante di Iniesta in mezzo, la semi sterilità offensiva di questo periodo, le condizioni precarie (per ragioni diverse) di Villa e Pedro, la famosa panchina corta piena di giovani imberbi delle giovanili. Il Barça l’altro giorno non ha incantato, ma ha cercato comunque di giocare, restando fedele a un modello direbbe qualcuno, ma comunque è entrato in campo per giocare.
Invece di sfruttare questa situazione favorevole sappiamo già cos’ha fatto Mourinho, oltre a lasciare nuovamente l’erba alta e a non innaffiare il campo affinché rimanesse duro. Con la genialata di spiegare che la tattica attendista era finalizzata a inserire Kaká negli ultimi 10 minuti affinché il brasiliano (che Mourinho non ha mai considerato in tutta la stagione) potesse risolvere la partita. Intanto, 3 mediani e pelotazo (mandare su la palla a caso), qualcosa che al “Bernabéu” non va proprio giù. Poi ha dichiarato di non avere nessuna responsabilità per la sconfitta. Almeno, per la sua espulsione, Mourinho non sarà in panchina al “Camp Nou” ma non sarà neanche presente alla conferenza stampa.
Durante l’incontro si è visto Cristiano Ronaldo reagire con gesti di stizza e nervosismo. Nella zona mista dopo la partita lo stesso portoghese ha addirittura ammesso: «Non mi piace giocare così, ma devo adattarmi a quello che mi chiede la squadra». Oggi Mourinho ha detto che il giocatore è libero di esprimere le sue opinioni, ma casualmente non è stato convocato per la partita di domani (forse per farlo riposare?!)
È evidente che Mourinho sta portando il Madrid e il madridismo in una direzione senza ritorno. Senza scomodare il señorío del club né Javier Marías citato da un commento, il dibattito in seno al madridismo è molto più profondo di quanto potrebbe sembrare dall’Italia.
Giustificare le impostazioni di Mourinho costa sempre di più. Poi ovvio, tutti sono stati contenti di aver vinto la Copa del Rey (dove in campo neutro il Madrid aveva giocato paradossalmente meglio) e sarebbero stati felicissimi di andare in finale al posto del Barça, ma le sue tattiche sparagnine possono andarti bene una volta, non sempre.
Come si sa la stampa sportiva da queste parti è estremamente schierata: i due giornali di Barcelona (Sport e Mundo Deportivo) sono totalmente pro Barça mentre quelli della capitale (Marca, As) sono strenuamente a favore del Madrid. Ma nonostante la partigianeria le critiche contro il portoghese vengono da lontano: la stampa sportiva madrilena è sempre in prima fila attaccando senza sosta (e spesso anche in modo sporco) il Barça, ma in questo momento è molto critica con Mourinho.
Anche se la copertina di ieri di Marca segue il discorso del portoghese, non lasciano dubbi i passi della cronaca della partita della sua prima firma Santiago Segurola (ex d’El País e forse un pesce fuor d’acqua al suo giornale) a pagina 3 dal titolo “Messi deslumbra a un Madrid mediocre”:
«(…) Il Madrid è entrato in campo tra i cori “Campeones, Campeones” e ne è uscito con il prestigio a terra. La gente ha lasciato lo stadio in preda alla costernazione, dispiaciuto per il gioco della sua squadra. È stato un Madrid mediocre, prima e dopo l’espulsione di Pepe, tanto discutibile quanto inutile è stato il rischio che ha corso con la sua entrata su Alves. Il Barça con una formazione costruita con le poche risorse che gli rimanevano, ha sempre somigliato all’idea che tutti hanno della squadra di Guardiola. Non gli è servito un gran gioco. Ha approfittato dei gravi difetti del Madrid e dell’espulsione di Pepe per avvicinarsi a un metro dalla finale di Wembley.
Il dibattito si centrerà sull’effetto dell’espulsione del giocatore portoghese, ma la partita ha lasciato letture più profonde. Lo spreco della rosa del Madrid per esempio. E anche la sensazione che anche i suoi migliori giocatori perdono le loro qualità più rilevanti per diventare parte di una truppa. Özil non ha giocato più di 45 minuti in ognuna delle sfide contro il Barça, obbligato oltretutto a fare quello che non sa. Nel secondo tempo è entrato Adebayor, un invito a pensare a quello che Morinho aveva in panchina: Kaká, Higuaín e Benzema, gli eroi della spettacolare partita di Valencia. Disgraziatamente, sembra che queste partite non siano mai esistite.
Non si è neanche visto nel Madrid l’impegno quasi fanatico della finale di Coppa. La squadra si è invece rifugiata nella propria metà campo, senza vigore, né intenzione alcuna di complicare la vita al Barça, che si è trovato in una partita vera. Con le difficili circostanze attuali, senza Iniesta, senza laterali sinistri puri, con Pedro in un preoccupante stato di forma, con Mascherano giocando occasionalmente, e molto bene, come centrale. (…)
Ha sorpreso la mancanza di energia del Madrid, aggrappato a una strategia che ha ripetuto nei tre primi incontri della serie. Mourinho non l’ha mai modificata, a parte il cambio di Adebayor per Özil, un invito al pelotazo [si veda sopra] che nella finale di Mestalla ha funzionato molto peggio di quello che si pensi. Il togolese è una tentazione irresistibile al patadón [lo stesso], a un modello che il Bernabéu ha disprezzato per essere volgare e noioso. Mourinho non si è mosso da qui: non ha cambiato nessun altro, ne ha generato una nuova strategia. E dire che si tratta di un uomo che ha la fama di trasformare le partite con i suoi cambi, pirotecnici per pochi, geniali per molti.
(…)
Era chiaro ce il Barça si sentiva infinitamente più a suo agio del Madrid. Nonostante il carattere eroico attribuito a Pepe in queste partite, sorprende vederlo quasi mezzapunta, dietro al centravanti. Mai il Madrid ha avuto a disposizione un arsenale così impressionante di giocatori, una varietà di risorse che non ha rivali nel calcio europeo. Tuttavia, nelle tre partite ha accettato la sua condizione di inferiorità rispetto al Barça, o per lo meno non ha mai preteso di proporre il gioco che costringe il Barça a fare quello che meno gli piace: inseguire, difendersi vicino a Valdés, percorrere metri per recuperare palloni.
Nel secondo tempo niente è cambiato nelle due squadre. Il Barça passava i minuti con un sicuro possesso palla e il Madrid non offriva nessuna risposta interessante. L’aspetto negativo della strategia del Madrid è che tende a limitare le qualità dei suoi migliori giocatori. Cristiano non si è visto, ma è anche vero che è stato sottomesso alla mediocrità che regnava nella sua squadra. Di María ha consumato le sue energie in corse senza costrutto, nell’inutile pressione su Valdés, salutata con entusiasmo dal pubblico. Sono stati gli unici applausi dei tifosi madrididsti: esercizi propri di una fedele fanteria che di una squadra dalle possibilità immense e non sfruttate.
È arrivata poi l’entrata di Pepe su Alves. Non aveva senso: una palla contesa, in mezzo al campo. Forse meritava solo l’ammonizione, ma l’azione spiega il grado di eccitazione di un giocatore che non riesce a controllarsi.
(…)
[La seconda rete] lascia il Barça molto vicino alla finale. E sottopone a un dibattito la strategia di Mourinho in una partita in cui il Madrid si è rassegnato a un ruolo che non gli compete, né per la sua storia, né per i giocatori che ha. Quando è terminato tutto, gli echi del “Campeones, Campeones” sembravano appartenere a un passato lontano».
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