Venerdì 10 febbraio 2012
Salutata la famiglia Mancilla, ci avviamo con la camioneta di Ricardo che con i nostri bagagli ci da uno strappo (a pagamento) sulla pessima stradina di campagna fino al passo in cima alla collina.
Quasi subito troviamo il confine cileno, probabilmente uno dei posti di frontiera più belli mai visti.
Anche se le frasi patriottiche si sprecano.
Ovviamente anche in un posto sperduto come questo c’è una canchita, un campetto da calcio.
Scendendo sempre più a Sud ho ritrovato varie persone conosciute per strada. In molti ci siamo rincontrati ad affrontare la fine della Austral insieme. Oltre a Barbara, ora mi trovo con Andreas, tedesco di vicino Stoccarda già con me sul catamarano, Harold olandese di Eindhoven (trovato sul bus fino a Río Tranquilo e poi più giù): si sono incontrati in Bolivia, hanno effettuato giri diversi, si sono ritrovati per caso a Mendoza e hanno deciso di continuare insieme.
Greg californiano delle montagne ed ex agricoltore, per qualche mese sta lavorando da Buenos Aires per una pagina web e ha fatto una scappata in Patagonia.
In bici con il loro carrellino due francesi di Clermont Ferrand, Philippe e Francis, partiti da Lima in Perú hanno continuato a pedalare fino qui.
Sulla camioneta anche Mauricio e Carlos, due ragazzi cileni; il primo tifa Cobreloa così come Ricardo che guida, un fatto non così comune, ancor meno a queste latitudini. Entrambi probabilmente memori delle campagne trionfali dell’inizio anni Ottanta (la finale Libertadores 1981 persa contro il Flamengo di Zico). Quando gli racconto che sono di Udine Marcelo reagisce subito, esclamando «Me gusta Totò!».
Già sulla barca sul Lago O’Higgins un tedesco e un argentino mi avevano parlato di un traghetto che unisce l’isolato villaggio cileno di Puerto Williams (a sud di Ushuaia, “la città più a sud del mondo”) a Punta Arenas in una trentina di ore. Sembra che parta tre sabati su quattro, ma solo alla fine del mese precedente si sa in quali. Anche Mauricio e Carlos mi stimolano nuovamente riguardo a Puerto Williams e al traghetto, ma forse è troppo tardi: loro hanno prenotato tre settimane fa ed era quasi già esaurito. Appena avrò un telefono e Internet a disposizione mi informerò meglio.
Partiamo in sette, di cui tre persone nel cassone con i bagagli (anche quelli dei francesi in bici) per i 15 km di pessima strada fino al passo.
A un certo punto ci fermiamo e rimaniamo tutti a bocca aperta: dal bosco spunta una visione, la cima del Fitz Roy, 3375 metri, impressionante e libera da nubi, come dicono capiti solo di rado. Andando in direzione del Chaltén era normale che la potessimo vedere per strada, ma nessuno ci aveva pensato.
Il trattore di Ricardo ha un problema a una ruota e un altro signore si aggiunge sul cassone con la ruota da aggiustare.
Troviamo un ponte mezzo rotto, che passiamo a piedi,
la camioneta deve attraversare un torrente che solo qualche giorno fa portava troppa acqua per essere attraversato.
Entriamo sulla pista del piccolo aeródromo Laguna Redonda, l’unico tratto di sterrato a posto; varie volte Philippe ci passa e ripassa, mentre Francis se l’è presa più comoda.
Si arriva finalmente sul passo, luogo fisico che ospita la frontiera (i controlli sono invece molto lontani tra di loro): finisce il Cile,
e inizia l’Argentina.
Qui Ricardo ci lascia, arriverà al lago a pomeriggio con i cavalli e nostri zaini. Noi continuiamo a piedi per 6 km in mezzo al bosco,
una passeggiata tranquilla con chiacchierate interessanti e allietata da nuove visioni del Fitz Roy.
Al Lago del Desierto, il posto di controllo argentino, anche questo concorre sicuramente tra i migliori di sempre.
I gendarmi ruotano e si fermano qui un mese, sicuramente molto lungo, ma almeno d’estate c’è gente che passa. D’inverno invece la frontiera è chiusa per sei mesi ma loro devono rimanere qui e da questa parte della montagna fa molto freddo.
Alle 18 arriva la barca che dovremmo prendere,
ma visto il panorama decidiamo che è proprio il caso di fermarsi una notte qui. Per fortuna qualcuno mi offre una tenda,
e Philippe, organizzatissimo per il campeggio, prepara la cena per tutti (per il secondo giorno consecutivo pasta, io che cerco di evitare i piatti italiani all’estero).
L’acqua è gelida.
Vicino, una pianta spinosa di calafate (Berberis microphylla) che cresce solo in Patagonia. Produce un frutto simile al mirtillo che da il nome alla cittadina argentina dalla quale passerò tra qualche giorno. Dice la leggenda che se lo si mangia si ritornerà presto da queste parti; ovviamente tutti lo assaggiano.
Il lago è semplicemente spettacolare, una visione perfetta con in mezzo le cime che anche a pomeriggio continuano a rimanere senza nubi.
E anche sul far della sera,
quando le montagne dall’altra parte sembrano infuocate,
e di notte, i colori cambiano continuamente. È sicuramente la ciliegina sulla torta, dopo la degna conclusione della Austral con la famiglia di Candelario.
Il mattino dopo.
Qualche ospite.
Arriva la prima barca del mattino,
attraversando il lago, una cascata.
Poi prendiamo un bus verso El Chaltén,
con sul percorso nuovamente l’onnipresente montagna che possiede un fascino magnetico.
Da qui in poi inizia un altro viaggio, che mi porterà più a Sud possibile transitando da alcuni luoghi (forse troppo) turistici in Argentina.
Che dire….non ho più parole che possano esprimere le sensazioni di questo viaggio ai confini del mondo….
se resti lì fino ad agosto ti raggiungo….:-)
un po’ lunga fino ad agosto, e credo che da queste parti faccia un freddo cane!
baci,
a
Muy buenas fotos Alessandro!!!. Excelente ruta de la Patagonia para cruzar de Chile a Argentina (o viceversa).
Muchos saludos!
he he… como lo sabes? la probaste?
😉
nos vemos pronto,
a
con estas fotos ya me arrepeni de no haber seguido màs al sur….será para la próxima
Saludos
ke significa ‘qualcuno’ mi offre la tenda????