İstanbul, mercoledì 12 agosto
Di fronte all’albergo abbiamo il primo contatto con la cucina di İstanbul.
In Turchia si è sempre mangiato molto bene, anche se i piatti non sono così variegati come in altri paesi.
In molti territori dell’ex Impero Ottomano si trovano variazioni sullo stesso tema. Sempre ottima la carne alla griglia assaggiata in quasi tutti gli angoli del paese in cui siamo stati, treni inclusi [si veda la storia al riguardo].
La si trova di agnello, montone, manzo o pollo (ovviamente il maiale è bandito), spesso su spiedini, sottoforma di köfte (specie di polpettine), l’onnipresente kebab (“carne alla griglia”, la cui radice araba è la stessa del ćevap balkanico). Le varianti sono lo şiş kebab (spiedini di pezzi di carne), il döner kebab (rotante), che siamo abituati a vedere anche in Italia (in un blocco verticale che gira cotto lentamente, chiamato in alcuni paesi anche shawarma). Tutte vengono serviti con pomodori, cipolla e verdura, talvolta sottaceti.
Gli spiedini sono talvolta infarciti anche con melanzane (patlıcan, molto presenti in questo viaggio, e personalmente ne sono molto contento) ed altre verdure.
Nel ristorantino citato possiamo immaginare quello che ci aspetta nei prossimi giorni. In una giornata calda come questa ci vorrebbe proprio una bella birra fresca, che però dal menu non risulta. Quando la chiediamo al cameriere, ci spiega che se ci spostiamo in un tavolino all’interno la potremo avere: ci viene servita senza lasciarci la lattina, coperta con un tovagliolo di carta per non far vedere ad eventuali passanti di cosa si tratta.
Niente di nuovo, già mi è capitato in vari paesi musulmani più o meno rigidi, anzi in questo senso la Turchia non è tra i peggiori.
Abituati nei Balkani in cui le prelibatezze contenenti alcool in varie percentuali scandiscono i ritmi della giornata, qui ci siamo ritrovati su altri schemi di gioco. Se qualcuno dei nostri amici fosse preoccupato per la nostra situazione alcoolica, possiamo rassicurarli, visto che non stiamo bevendo quasi niente.
A tavola acqua o ayran, bevanda con yoghurt, acqua e sale che si usa per accompagnare la carne e che in Pakistan avevo bevuto in quantità industriale con il nome di lassi.
Tantissimo tè. Poi la frutta che qui è prelibata e viene venduta anche da bancarelle semoventi in giro per la città.
Per caso abbiamo trovato un piccolo locale ad angolo in cui proponevano stupendi frullati, in una mezzoretta ne abbiamo scolati 13 (in quattro).
Solo ogni tanto scappa una birra per sbaglio.
Anzi, dopo aver trovato un bar con dei tavolini con la bellissima vista sul Bosforo, in quel momento molto agitato, ci siamo dovuti accontentare di una limonata.
In Friuli si dice che qualcuno è «in Ramadan» quando si prende una pausa dopo un periodo particolarmente alcolico: ecco, noi siamo in Ramadan aspettando quello che inevitabilmente ci attende in Georgia. Vabbè, per i lunghi trasferimenti portiamo sempre con noi una specie di talismano, la šljiva serba della famiglia Aksentijević [si veda la storia].
Tra l’altro il Ramadan vero e proprio inizia tra qualche giorno, ma noi saremo già oltre confine.
Nella nostra breve permanenza stavolta non abbiamo avuto il piacere di assaggiare il rakı, grappa all’anice simile all’ouzo greco o al pastis francese, anch’esso presente in molti territori dell’ex Impero: è trasparente, ma quando si aggiunge acqua e ghiaccio diventa bianco latteo.
Recentemente in Libano (dove si chiama arak) ne avevamo fatto incetta. Non che vada particolarmente ghiotto di anice, ma una bottiglia di arak ghiacciato sulla spiaggia mentre si degusta il mezze (i prelibati antipasti libanesi) aspettando il pesce alla griglia, con sullo sfondo il mare è realmente impagabile.
Anche in questo caso ha la stessa radice araba della rakija balkanica. Il rakı, nonostante fosse alcolico, riscosse un grande successo nel XIX secolo, più liberale di altri, quando veniva servito nelle meyhaneler, le tipiche taverne ottomane.
Le classiche insalate con pomodori, cetrioli, formaggio, olive, cipolle e condite dall’ottimo olio d’oliva usato spesso nella cucina turca. Le spezie sono onnipresenti come da tradizione [si veda la storia sul Bazar delle Spezie].
Spesso in bella vista all’entrata o in vetrina di alcuni ristoranti ad İstanbul alcune signore vestite con abiti tipici e sedute davanti ai loro forni tirano la pasta per le pizze turche tipiche dell’Anatolia e dell’Armenia (lahmacun, con carne o verdura, ma non formaggio, su una base di pane cucinata al forno).
Già citate dolma e sarma e le specialità Balkan, un’altra tipica è il famoso Panino di Eminönü.
Nella rada i pescatori grigliano il pesce nelle loro barchette e lo vendono poi sulla banchina ai passanti attirati da quegli intensi profumi.
Stavolta troviamo un barcone affollatissimo, con ampia griglia annessa.
Non si sa come facciano a mantenere l’equilibrio con quegli sballottamenti causati dalle onde.
I pasticcini della tradizione turca sono dolcissimi, come la baklava, anch’essa popolare in molti i paesi che hanno subìto la dominazione ottomana.
A sorpresa, troviamo anche della buonissima cioccolata.
Nelle vicinanze del Bazar delle Spezie troviamo un’altra meraviglia, una specialità porcellosa (anche se non di maiale) trovata per strada che ricorda gli ‘mboti pugliesi (tipici involtini fatti con polmoni e fegato di agnello):
qui, varie frattaglie racchiuse in un budello vengono cucinate allo spiedo,
poi tagliuzzate
e quindi servite in un panino: delizioso!
Lascia un commento