Giovedì 11 novembre 2010
Lunedì scorso è morto l’Ammiraglio Emilio Eduardo Massera, 85 anni, uno dei gerarchi della spietata Junta che guidava la dittatura militare argentina. Massera, capo supremo della Marina Militare, insieme a Videla e Agosti formava parte del triumvirato protagonista del golpe del 1976. Come tale, gestì la ESMA, il famigerato centro clandestino di detenzione e tortura situato nella Scuola Militare della Marina, nel centro di Buenos Aires.
Vi furono commessi una serie infinita di crimini tra i quali sequestri, torture e omicidi di centinaia di persone gettati dagli aerei a sfracellarsi in mare. Senza dimenticare l’ignominia delle decine di bambini rubati alle loro madri, spesso detenute alla ESMA che, dopo la nascita, venivano affidati a coppie vicine al regime militare: dopo oltre trent’anni molti di essi non conoscono ancora la propria vera identità, né sanno che le persone che ancora chiamano mamma e papà li ricevettero dagli assassini dei loro veri genitori.
Questo avvenne con la benedizione e il supporto degli ambienti della chiesa cattolica (argentina, ma anche del Vaticano) e della CIA, strenuamente impegnata nella repressione anticomunista in tutta l’America Latina.
Massera apparteneva anche alla Loggia Massonica P2, di cui faceva parte anche Juan Domingo Perón, amico personale del Gran Maestro Licio Gelli che ebbe importanti connessioni in Argentina (e Uruguay) fin da quando apparteneva al Partito Fascista di Mussolini, ma anche dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Con il ritorno della democrazia, nel 1985 Massera venne condannato all’ergastolo per svariati crimini e violazioni dei diritti umani, ma cinque anni più tardi ricevette dal presidente Carlos Menem l’indulto, da poco annullato dal Tribunale Supremo. Nel 2009 Massera fu anche giudicato in contumacia in Italia per l’assassinio di tre cittadini italiani; una di loro aveva partorito una figlia alla ESMA. Tornò in carcere nel 1998 per sottrazione di minori ma nel 2005, a seguito di un aneurisma cerebrale, venne dichiarato incapace di intendere e le sue pene furono sospese.
El Almirante Cero, come lo chiamava qualcuno, è rimasto vittima di un’emorragia cerebro-vascolare quando si trovava già internato al Hospital Naval di Buenos Aires. È stato sepolto in segreto per evitare manifestazioni.
Alcuni cittadini argentini appartenenti ai settori dei diritti umani, o che subirono direttamente o indirettamente la violenza della dittatura militare, hanno espresso il loro dispiacere che il repressore non sia stato condannato definitivamente e non sia morto dietro alle sbarre.
Il giornale La Nueva Provincia di Bahía Blanca ha invece ospitato un articolo in cui si afferma che Massera «ha dimostrato uno spirito aperto alla riconciliazione ed estraneo a qualsiasi settarismo, aspetti che gli rendono onore». L’ennesima prova della divisione della società argentina.
Qui di seguito un mio reportage pubblicato sul Venerdì di Repubblica in occasione dell’anniversario del golpe, quattro anni fa.
LA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA: LA ESMA NEL 30º ANNIVERSARIO DEL GOLPE IN ARGENTINA [2006]
BUENOS AIRES. «María Isabel e Adolfo Berardi. Sono passati 29 anni. Non vi dimentichiamo. Processo e carcere per i colpevoli. Vostro figlio, i familiari e gli amici».
«Irma Ángela Zucchi. Non dimentichiamo. Non perdoniamo. Carcere per i genocidi e i loro complici. I nipoti e gli alunni».
Sono due tra i molti annunci che, ancor oggi, si leggono quotidianamente su alcuni giornali argentini. Trent’anni fa, con il golpe militare del 24 marzo 1976, si instaurava in Argentina un regime tra i più criminali tra quelli che nell’America Latina di quegli anni bui furono coordinati nel Plan Cóndor, appoggiato dagli Stati Uniti. Il regime argentino sarebbe durato fino al dicembre 1983, uccidendo circa trentamila persone, i desaparecidos (gli “scomparsi”, visto che i loro corpi non furono mai trovati), e mandandone in esilio altre trecentomila.
La maggior parte dei desaparecidos erano giovani, attivisti dentro le università o le fabbriche, altri neanche questo. Alcuni avevano preso le armi per difendere i loro ideali e il paese di fronte alla feroce Junta Militar. Furono rapiti e portati in uno degli oltre cinquecento centri di detenzione, tortura e desaparición. Il più famigerato, nonché unico dentro la capitale, sorgeva presso la ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada, l’Accademia della Marina militare), diciassette ettari ceduti nel 1924 dalla città di Buenos Aires alla Marina militare per essere usati esclusivamente a fini educativi. Fu utilizzato come carcere per tutto il periodo della dittatura e si calcola che vi passarono circa cinquemila persone. Ne sopravvissero tra i cento e i duecento. I colpevoli sono ancora impuniti.
Dopo una lunghissima e tenace battaglia che ha assunto soprattutto il volto delle Madres de Plaza de Mayo, nel 2004 lo Stato federale e il Governo autonomo della capitale hanno firmato un accordo per recuperare la ESMA. Néstor Kirchner, presidente dell’Argentina dal 2003 [deceduto poche settimane fa] e primo capo dello stato sensibile a questi temi, ha sicuramente favorito un nuovo corso. Nonostante gli accordi presi, la Marina ha per ora consegnato solo una piccola parte delle sue proprietà, tra cui però ci sono gli edifici più significativi. È iniziato così un lavoro di ricostruzione basato sulle testimonianze dell’epoca e l’aiuto dei sopravvissuti per costituirvi uno “Spazio della Memoria e di Promozione dei Diritti Umani”. Il museo però aprirà solo quando i militari abbandoneranno l’intero complesso, forse entro il 2007. Nel dibattito sul futuro uso della ESMA, l’opinione delle Madres (che a gennaio hanno trascorso il loro 1500° giovedì consecutivo manifestando in piazza) discorda dalle altre associazioni. La loro leader storica Hebe de Bonafini spiega: «Avremmo preferito una scuola d’arte popolare, non legata all’orrore, ma fertile. Alla memoria della morte preferiamo quella della vita».
I voli della morte
Di orrore la ESMA ne ha conosciuto senza risparmio. Qui, nella residenza degli ufficiali, che dà proprio sulla avenida del Libertador, i gruppi speciali portavano le persone sequestrate per strada, a casa o al lavoro.
In seguito a forti pressioni internazionali, nel settembre del 1979 la ESMA fu visitata dalla Commissione interamericana di diritti umani. Per indebolire le testimonianze di ex prigionieri su cui la Commissione si basava, la Marina ristrutturò lo stabile: fu costruita una nuova scala esterna per raggiungere lo scantinato, luogo deputato alla tortura, eliminando quella interna, i cui segni sono tuttavia ancora visibili. Per un mese i detenuti furono trasferiti sulla Isla del Silencio, un’isoletta nel delta del Paraná di proprietà della Curia. Il che rende l’idea della connivenza tra le gerarchie religiose con il regime, le cui atrocità non sono mai state denunciate né dalla Chiesa argentina, né dal Vaticano. Anzi, il nunzio Pío Laghi era solito giocare a tennis con l’ammiraglio Massera [proprio lui], capo supremo della Marina, di cui era amico. E alcuni preti frequentavano la ESMA, dove dicevano messa per i detenuti e benedicevano e confessavano i torturatori. Alla ESMA i detenuti erano sistemati in un’ala della soffitta chiamata Capucha, di solito una sessantina alla volta, stesi su materassi e incappucciati, da cui il soprannome del luogo.
Alla gran parte di essi toccò il tragico destino dei vuelos de la muerte. Ogni mercoledì avvenivano i traslados, i «trasferimenti». Gli aguzzini chiamavano tra le dieci e le quindici persone con i loro numeri di identificazione e gli infermieri inoculavano loro un calmante: dicevano che li avrebbero spostati in un altro campo e che si trattava di un vaccino. Inebetiti, i prigionieri erano caricati su un aereo, portati ad alta quota e quindi scaraventati nudi a sfracellarsi sull’oceano. In pochi casi, per errori di calcolo, il mare restituì i corpi sulle spiagge. Uno dei casi più famosi fu quello delle suore francesi Alice Domon e Leonnie Duquet i cui cadaveri apparvero sulla spiaggia di Santa Teresita. Erano state sequestrate nel dicembre 1977 nella chiesa di Santa Cruz, il luogo in cui si riunivano las Madres e anche loro erano state torturate alla ESMA.
L’unico che spiegò chiaramente e nei dettagli il sistema vigente alla ESMA fu il capitano Adolfo Scilingo, una piccola rotella di quell’immenso ingranaggio che concesse una lunghissima intervista al giornalista Horacio Verbitsky, successivamente pubblicata in un libro, El vuelo [in italiano Il volo, Feltrinelli; lo stesso autore ha recentemente scritto un’altra opera, El silencio, uscita anch’essa da Feltrinelli come Il silenzio]. Il giudice spagnolo Baltasar Garzón utilizzò quel materiale contro lo stesso capitano che, nel 2001, fu il primo argentino a essere processato in Spagna per crimini legati alla dittatura e si trova ora in carcere.
Il sistema si specializzò così nello sterminio degli oppositori ma anche lo sfruttamento della manodopera forzata divenne un lucroso affare. Alcuni detenuti lavoravano alla falsificazione di documenti e contratti di proprietà, mentre una zona del sottotetto era stipata di oggetti rubati nelle case dei sequestrati, che venivano poi rivenduti.
Nel soppalco della Capucha, le due sale di tortura della cosiddetta Capuchita potevano essere utilizzate anche da altre Armi. Al centro della soffitta si trovava una stanza per le donne incinte. Al settimo mese di gravidanza venivano trasferite qui, dove erano presenti medici, anche da altri centri di detenzione. Quando i bambini nascevano, le madri venivano eliminate e i piccoli erano affidati a famiglie vicine al regime.
Dal 1977 le Abuelas (nonne) de Plaza de Mayo cercano ostinatamente di rintracciare quei bambini, loro nipoti, ormai adulti. «I metodi di ricerca sono cambiati durante tutto questo tempo», spiega la presidente dell’associazione Estela de Carlotto, 75 anni. «Ora cerchiamo di farci conoscere attraverso varie attività legate ai giovani, spiegando che se qualcuno non si sente sicuro della propria identità può venire da noi. Possediamo una banca dati con migliaia di campioni di Dna e possiamo contare sull’aiuto di avvocati, psicologi, ma anche di altri ragazzi che sono stati ritrovati». Così 81 nipoti sono stati recuperati, l’ultimo pochi mesi fa.
Impunità
Il 9 dicembre 1985, poco dopo la fine della dittatura (il nuovo presidente Raúl Alfonsín fu eletto nell’ottobre 1983), Jorge Rafael Videla e Emilio Massera, i due gerarchi più importanti della Junta, furono condannati all’ergastolo e altri collaboratori a pene più ridotte. Successivamente, di fronte alle pressioni dei militari, Alfonsín fece approvare le ignominiose leggi de Obediencia debida e Punto final che decretarono l’illegalità di nuovi processi. Nel maggio 1989 venne eletto presidente Carlos Saúl Menem che completò la disastrosa opera del suo predecessore con la scandalosa amnistia delle condanne grazie all’indulto del dicembre 1990. Anche Videla e Massera tornarono dunque in libertà dopo cinque anni di “prigionia” in una mansione dell’esercito in cui potevano tranquillamente ricevere visite e tornare a casa nei fine settimana.
Già nel 2003 le leggi di Obediencia debida e Punto final sono state dichiarate incostituzionali dal Congresso e nel giugno 2005 dalla Corte Suprema. Il 4 settembre 2005 il giudice federale Norberto Oyardibe ha annullato l’indulto per l’ex ministro dell’Economia José Alfredo Martínez de Hoz, massimo ideologo del regime, e degli Interni Albano Harguindeguy per il sequestro nel 1976 dell’impresario Federico Gutheim e del figlio Miguel. Il giorno successivo è accaduto lo stesso anche per Videla (capo dello stato dal 1976 al 1981 e ora 81enne), da poco agli arresti domiciliari preventivi per i rapimenti di bambini da parte del regime. Si attende ora la decisione della Cassazione. Questi fatti aprono nuove prospettive per riaprire moltissimi casi.
Qui un filmato sull’infame represor Massera:
Volevo chiederti se avevi mai scritto qualcosa in merito al mundial argentina ’78, quello di cabrini e rossi giovani, del blocco juve, etc. Io avevo 9 anni ed è il primo che ricordo e che ho seguito con passione. Ricordo i bigliettini di carta a migliaia dagli spalti al campo, la voce di nando martellini, il goal di bettega nell’unica sconfitta della squadra di casa poi vincente coi goals del capellone mario kempes.
Ricordo Passarella, Bertoni, Ardiles, Tarantini il boccolone…e Menotti, claro que si!
Mi chiedevo, ovviamente, come mai c’erano tanti cognomi italiani in quel Paese, del resto dalle parti di Corrientes all’epoca c’era anche un mio zio rientrato pochi anni dopo in Carnia.
Ma il punto che mi preme adesso è: come fu possibile che la FIFA fece organizzare un evento così importante, lucroso e di forte immagine, ad un Paese retto da simili aguzzini? Chi facilitò la cosa? Era davvero sconosciuta la verità in Europa e nel resto del mondo sui media?
Non so se ne hai già parlato, ma volevo sapere la tua opinione o se hai del materiale in merito.
LR
Recupero il commento perduto…
Anche per me fu il primo mondiale completo di cui ho ricordi.
Qualche anno fa avevo intervistato il Flaco Menotti nel suo ufficio di Buenos Aires, intervista che andra’ a far parte di qualche libro ovviamente
😉
per quanto riguarda l’organizzazione, il Mundial 78 venne affidato all’Argentina in tempi non sospetti, addirittura nel 1966 (!). Pensa che la dittatura militare iniziò appunto nel 1976, cioè poco più di due anni dall’inizio della manifestazione. E poi la dittatura argentina poteva comunque godere di appoggi politici importanti (ovviamente gli Stati Uniti della Guerra Fredda, il solito Vaticano ma non solo): che permettessero alla Junta di celebrare i Mondiali credo sia stato l’ultimo dei problemi. Il regime era ovviamente contento di poter presentare un’immagine diversa al mondo. So che ci furono proteste, le uniche che parlavano apertamente già allora erano le Madres de Plaza de Mayo, ricordo qualche pezzo (forse non moltissimi) o servizio (uno di Gianni Minà per lo meno) in cui si parlava della situazione dei desaparecidos che era risaputa.
ziv,
a