Giovedì 11 ottobre 2012
Prima della partita un amico mi aveva avvisato: «Preparati, perché stasera al “Camp Nou” probabilmente vedrai un profondo cambiamento sociologico».
Enorme era l’attesa per il Clásico di domenica scorsa che come ha affermato qualcuno è diventato più che altro Abituale (ormai lo si gioca 4-5 volte l’anno), anche per le connotazioni socio-politiche che questo specifico Barça-Madrid aveva assunto. Perfino i quotidiani locali, soprattutto quelli non sportivi, si chiedevano se si trattasse solo di una partita di calcio.
Com’è noto, da tempo immemorabile il Clásico è molto più di una partita, rappresenta anche uno scontro politico tra la Catalogna e il centralismo di Madrid, le cui radici risalgono alle dittature spagnole del XX secolo, di Primo de Rivera e di Francisco Franco.
Molti anni fa ebbi l’onore di intervistare Manuel Vázquez Montalbán nella sua casa di Vallvidrera. Lo scrittore, intellettuale e gourmet era tra i più appassionati sostenitori del club, ma rappresentava anche una voce critica a tutto campo, compreso quello calcistico. «Fu durante la dittatura franchista che il significato sociopolitico del FC Barcelona aumentò considerevolmente» confermava il creatore di Pepe Carvalho. «Il Barça rappresenta l’esercito, disarmato e simbolico, che la Catalogna non ha mai avuto».
Oggi il motto secondo cui El Barça és més que un club [è più di un club] si sente così spesso da suonare quasi retorico. Anche se negli anni la situazione politica è profondamente cambiata, rimane tuttavia ancora il modo più conciso ed efficace per spiegare un fenomeno così complesso come quello del FC Barcelona. In nessun altro paese un club di calcio ha acquisito una tale trascendenza simbolica, politica e sociale identificandosi negli anni con l’intera Catalogna.
Sembrerà strano alle generazioni più giovani che conoscono solo questo Barça vincente, ma non è sempre stato così, anzi. I tempi bui, politicamente e sportivamente, furono lunghissimi; da qui il pessimismo storico di molti culés che quasi non riescono a credere ai propri occhi per la bonanza sportiva di questi anni.
Tra il 1961 e il 1990 il Barça riuscì a vincere solo due campionati (con Cruijff giocatore nel 1974, e con la squadra “inglese” allenata da Terry Venables nel 1985), mentre il Madrid ne accumulò addirittura 19 (qualcuno insinuerebbe anche aiutato dall’imperante regime franchista, terminato nominalmente nel 1975).
I blaugrana vennero pure sconfitti rocambolescamente nelle due finali di Coppa Campioni disputate, nel 1961 al vecchio “Wankdorf” di Berna contro il Benfica di Eusébio (2-3, con i catalani colpirono tre volte i pali, allora quadrati) e la seconda, se possibile ancor più traumatica, ai rigori a Siviglia nel 1986 contro la Steaua grazie a Helmuth Duckadam che parò tutti e quattro i rigori calciati dai catalani [qui si può leggere la sua storia su questo sito]. Come dice l’inno del Barça, «Son molts anys plens d’afanys…».
Come sappiamo, fu l’arrivo di Johan Cruijff sulla panchina catalana nell’estate del 1988 a cambiare decisamente la dinamica e la filosofia di un club fino ad allora perdente. Il cambiamento epocale era basato sulla tecnica e il possesso palla e dando attenzione alla cantera, i giovani formati nella Masia (tra i quali allora brillava Pep Guardiola, assurto giovanissimo a regista della squadra) amalgamati con qualche campione venuto da fuori.
Da allora, grazie a Cruijff e ai suoi discepoli Rijkaard e Guardiola, i catalani hanno invece conquistato trofei a iosa diventando il club più vincente degli ultimi anni: 4 Coppe dei Campioni/Champions (la prima nel 1992 a “Wembley”, 1-0 alla Sampdoria con una punizione di Ronald Koeman al 111’), 2 Intercontinentali, 11 campionati, 5 coppe nazionali e altri spiccioli. Non solo, il Barça è diventato anche un marchio mondiale, e in qualsiasi angolo del pianeta si trovano tifosi blaugrana.
Come contraltare, nonostante il loro club sia diventato in questi anni il più forte e vittorioso del mondo, molti culés di un’altra epoca soffrono moltissimo nelle occasioni importanti. Pur avendo l’abbonamento, più di qualcuno non va allo stadio per non dovere fare i conti con le proprie coronarie, ma spesso non guarda neanche la partita in televisione né la ascolta alla radio. Se uno rimanesse a casa comunque sentirebbe le urla dei vicini, dunque un’occupazione intelligente durante i Clásicos è andare al cinema.
Nel frattempo, dal 2000 con i soldi a palate del nuovo presidente Florentino Pérez per acquisire galácticos (da Figo a Zidane all’altro Ronaldo), il Madrid era momentaneamente ritornato in auge mentre il Barça viveva l’interregno durissimo della presidenza Gaspart. La ripresa blaugrana si ebbe dal 2003 grazie al nuovo Presidente Laporta (e al suo vice Rosell, successivamente uscito dalla Giunta e ora lui stesso Presidente), Rijkaard in panchina e soprattutto al loro acquisto Ronaldinho (colui che, bisogna ammetterlo, trasformò la squadra sul campo).
Florentino, che aveva lasciato la presidenza a causa dei tremendi errori di cui si era reso protagonista, la riassunse per riprendere allo stesso modo, con acquisti stratosferici quali Kaká (che peraltro non ha mai reso all’altezza della sua fama), Benzema e soprattutto Cristiano Ronaldo.
Guardiola significò poi la sublimazione del percorso tracciato molti anni prima dal suo mentore Cruijff, portandolo quasi alla perfezione (si vedano soprattutto le due finali di Champions giocate e vinte contro il Manchester). Il marchio indelebile del 2-6 al “Bernabéu” (2 maggio 2009) provocò l’ennesima reazione di Florentino che nell’estate del 2010 chiamò Mourinho per superare nuovamente i catalani.
Mourinho vs Barça
Da allora si è entrati in un’altra dinamica, assai pericolosa. In quel campionato si sono giocati 5 Clásicos, di cui 4 in 18 giorni: la tensione era salita alle stelle per le provocazioni del portoghese, con il mastino Pepe divenuto il simbolo della sua squadra ancor più di Cristiano.
Le sparate sempre più grosse di Mourinho all’inizio della Liga hanno portato all’onta della manita, lo storico 5-0. In quel campionato i ragazzi di Guardiola erano troppo forti e concentrati e Mourinho è dovuto soccombere anche nelle semifinali di Champions, pur conquistando la Coppa di Spagna contro gli eterni rivali a Valencia.
Mourinho aveva iniziato la sua carriera proprio al Barça nel 1996/97 come interprete prima di Bobby Robson, che aveva già coadiuvato allo Sporting Lisboa e al Porto, e poi di Van Gaal. Già durante le sue visite con Chelsea ed Inter era detestato, ma ora grazie anche alle sue uscite diveniva il nemico per eccellenza.
Nella scorsa stagione il portoghese è riuscito a vincere l’agognata Liga. In soli 4 giorni il Barça invece perdeva tutto in due dolorose partite al “Camp Nou”, l’ultimo Clásico in casa e la semifinale di ritorno di Champions contro il Chelsea. Subito dopo Guardiola annunciava che avrebbe abbandonato la panchina e come successore la dirigenza sceglieva a sorpresa il suo secondo, Tito Vilanova, proprio per dare continuità al progetto.
L’inizio di questo campionato è stato sorprendente. Nonostante la transizione e le partite spesso risolte negli ultimi minuti il Barça si presentava al Clásico di domenica scorsa con addirittura 8 punti di vantaggio sugli storici rivali, forse parzialmente appagati dalla conquista della Liga.
Dai continui spifferi però si ha l’impressione che lo spogliatoio blanco sia profondamente diviso tra i “portoghesi” (e in generale i protetti e fedeli a Mourinho, anche perché rappresentati dal suo stesso procuratore, il maneggione Jorge Mendes) e gli spagnoli, capitanati da Casillas e Sergio Ramos spesso critici verso l’allenatore e per questo da lui additati di fronte alla stampa. Il pericolo è che quando il portoghese se ne andrà lascerà dietro di lui terra bruciata.
La recente questione politica
Nella società catalana è sempre esistito un ridotto zoccolo duro indipendentista, ma la maggioranza era rappresentata da Convergència i Unió (CiU) il partito nazionalista moderato e conservatore che nei lunghi anni di presidenza di Jordi Pujol preferiva scendere a patti con Madrid.
Molti catalani erano tuttavia rimasti profondamente delusi e amareggiati dall’esito del nuovo Estatut d’Autonomia, approvato nel 2006 ma mai pienamente ratificato anche a causa dei continui emendamenti richiesti dal Partido Popular (ora al potere a Madrid) presso il Tribunale Costituzionale.
Dopo alcune altre proteste contro le modifiche allo Statuto (oltre un milione di persone in piazza il 10 luglio 2010), il citato profondo cambiamento si è manifestato in maniera contundente lo scorso 11 settembre nella Diada (la festa nazionale catalana che ricorda la caduta di Barcellona e la conseguente definitiva sconfitta contro le truppe centraliste borboniche nel 1714). Stanchi dalle continue frustrazioni politiche, in quell’occasione un milione e mezzo di persone sono scese per strada a chiedere a gran voce la possibilità di organizzare un referendum per decidere sulla sovranità della regione. Chi vi ha partecipato racconta di un clima positivo, rilassato ed estremamente festivo, con partecipanti di tutte le età e classi sociali arrivati dai quattro angoli della Catalogna: «sarà difficile fermare un tale entusiasmo», sottolineava uno di loro.
Di fronte a un successo così straordinario, l’attuale Presidente della Generalitat (il governo autonomo catalano), il convergent Artur Mas, ha anticipato di due anni le elezioni per farle diventare un plebiscito.
Se la Catalogna costituisce una realtà decisamente diversa dentro lo stato spagnolo, con lingua e tradizioni (anche politiche) proprie, oltre alla citata incomunicabilità con Madrid altri elementi hanno favorito l’accelerazione di un tale processo, come l’avvicendarsi delle nuove generazioni del partito CiU e l’acuirsi della profonda crisi economica.
Nonostante il suo enorme potenziale, anche in Catalogna la disoccupazione è alle stelle e i tagli sono stati profondissimi, specialmente negli ambiti sociali. Per queste imperscrutabili dinamiche, Convergència sarà l’unico partito al mondo che aumenterà decisamente i propri consensi sebbene sia stato protagonista di bestiali tagli di bilancio.
Secondo molti cittadini, anche fra coloro che non parlano catalano, tra i problemi più gravi si trovano non solo la differenza abissale tra i soldi mandati ogni anno allo stato e quanti invece ritornano indietro, ma anche che Madrid li sprechi in modo irrazionale a livello di infrastrutture insensate. Come ringraziamento, i catalani si sentono demonizzati dalle altre regioni e da Madrid, come si è confermato nella vicenda dell’Estatut.
Il Clásico di domenica
Queste le premesse della partita di domenica, una perfetta cassa di risonanza vista da 400 milioni di telespettatori in tutto il mondo. Come mai prima d’ora si vede la presenza di estelades, le bandiere indipendentiste catalane (con la stella in campo blu).
E dei richiami all’indipendenza.
Ma allo stesso tempo nei dintorni dello stadio appaiono gruppi di turisti stranieri il cui pacchetto, oltre al biglietto, include anche una maglia personalizzata.
Fa un certo effetto la commistione di bandiere catalane insieme agli sciami di polacchi o turchi. Il Barça è diventato quello che si dice un fenomeno glo-cale, mischiando il locale con il globale.
È sempre impressionante entrare al “Camp Nou”, in attesa che la muraglia umana si materializzi.
Sugli spalti si sentono gli accenti dalle provenienze più diverse, danesi, mediorientali, russi, e si vede una coppia di armeni anch’essi con la loro bandiera.
Una costante nelle gare importanti al “Camp Nou” sono gli spettacolari mosaici che coprono tutto lo stadio. Ogni spettatore trova sulla sua poltroncina un cartoncino colorato (oltre 96mila in totale) con istruzioni allegate.
Stavolta viene ovviamente a disegnata un’immensa senyera (la bandiera catalana, senza stella).
Quando entrano in campo i giocatori l’effetto è straordinario, con l’inno del club cantato a cappella.
Mourinho presenta la formazione tipo, preferendo in cabina di regia Özil al nuovo acquisto Modrić (altro grosso punto di domanda). Il Barça invece ha indisponibili i due difensori centrali titolari (Puyol e Piqué). Con una tipica Guardiolada (così si chiamavano le invenzioni inaspettate di Pep), Tito Vilanova rischia inserendo il laterale Adriano insieme a Mascherano, da tempo riconvertito dal suo ruolo originario di mediano. Dopo pochi minuti perde anche Dani Alves (comunque poco convincente in quest’inizio stagione), ben sostituito dal giovane Montoya.
Si acuisce ancor di più la differenza di centimetri tra le due squadre (in media 1,83 contro 1,74) con diversi patemi sui corner. Davanti, Tito preferisce avere sia Cesc che Iniesta, rinunciando a una punta di ruolo. Con questi cambiamenti e riconversioni, il Barça presenta in campo ben 7 centrocampisti contemporaneamente.
Di fronte, anche due concezioni diverse, possesso palla da una parte e contropiede dall’altra, tecnica contro muscoli, cantera (giovanili) contro cartera (portafoglio): dopo l’entrata di Montoya per i padroni di casa c’erano in campo ben nove giocatori formati nelle giovanili, contro uno degli avversari (Casillas).
Il Madrid inizia deciso mentre il Barça non riesce ad imporre il suo solito controllo del gioco. Quando scoccano i 17 minuti e 14 secondi (a ricordo della data storica di cui sopra) le estelades escono a centinaia e si ascoltano slogan indipendentisti.
In quel momento il Barça sta subendo e molti sono preoccupati per l’andamento della gara. La rete di Ronaldo al 22’,
viene pareggiata 8 minuti dopo da Messi che approfitta di uno svarione di Pepe in area.
Nel secondo tempo i due cracks rispondono a parti invertite. Al 60’ l’argentino con un’imprendibile punizione dal limite dell’area.
E dopo 6 minuti il portoghese infila con un taglio la difesa catalana e batte Valdés.
Alla fine risultato giusto con parità su tutta la linea, anche le polemiche su un possibile rigore non segnalato per parte, un palo di Benzema nel primo tempo e una traversa di Montoya allo scadere.
Anche se poteva aumentare ulteriormente il suo vantaggio, al Barça va benissimo così: rimanere a 8 punti a inizio ottobre è un sogno. Nel frattempo, zitto zitto l’Atlético Madrid di Radamel Falcao e Diego Pablo Simeone ha raggiunto i catalani in cima alla classifica, qualcosa che non accadeva dal 1995/96.
Sul fronte politico vedremo cosa accadrà dopo le elezioni catalane del prossimo 25 novembre.
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Quest’articolo, in forma leggermente ridotta, è uscito anche sul blog di Futbologia.
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