Venerdì 3 settembre 2010
Questo pomeriggio alla “Grbavica” di Sarajevo l’Italia Under 21 si gioca la qualificazione agli Europei del 2011. Faceva tenerezza vedere i ragazzi di Casiraghi nella seduta di rifinitura alla “Grbavica”, lo stadio della seconda squadra sarajevese: il FK Željezničar, chiamato affettuosamente Željo, un club molto speciale.
Dopo aver passato con amici le feste di fine anno 1995 nella Sarajevo in cui era appena terminato l’assedio (e neanche poi del tutto), nel marzo 1996 ero tornato nella capitale bosniaca. Era un momento molto delicato, proprio quando, a seguito delle disposizioni stabilite dal trattato di Dayton, tutti i serbi (di Bosnia) che vivevano proprio nel quartiere di Grbavica se ne andarono prima che quel territorio passasse sotto il controllo dei bosniaci (musulmani).
Questo il pezzo che avevo pubblicato su Tuttosport:
SARAJEVO. Nella capitale bosniaca si vive ormai la condizione del dopoguerra. In città fervono moltissime iniziative, aprono continuamente bar e negozi, la merce si trova in abbondanza (anche se sono in pochi a poter pagare). Addirittura si sta girando un film ambientato durante la guerra, utilizzando effetti speciali. Si cerca, tra molte difficoltà, di ricominciare una vita normale.
Lo Željezničar (“il ferroviere”, tradotto letteralmente) è il secondo club della città, ma prima della guerra, quando la Jugoslavia era ancora unita, costituiva un sentimento particolare nonostante avesse conquistato solamente un campionato, nel 1971/72. La sede del club e il suo stadio sorgevano nel quartiere abbastanza centrale di Grbavica, ultimo tra i sobborghi in mano ai serbi a passare ai bosniaci, il 19 marzo, secondo gli accordi di Dayton. L’atmosfera che in questi giorni regna nel quartiere è tragica: : per paura e istigata dai propri politici, la maggioranza della popolazione serba nei giorni precedenti la fatidica data aveva abbandonato la zona, portandosi via i propri averi e dando prima alle fiamme molte abitazioni.
Lo stadio si trovava praticamente in prima linea, a ridosso delle postazioni bosniache. In questi giorni tra tanta distruzione qui si aggirava qualche tifoso con gli occhi lucidi, venuto per la prima volta nello stadio dopo quattro anni. Ripensava forse alle evoluzioni di Ivica Osim (diventato poi allenatore, anche della nazionale jugoslava) o di Mehmet Baždarević. Di Vlado Čapljić o dell’ex torinista Haris Škoro. O allo spettacolo delle gradinate piene in quella primavera del 1985, quando nel ritorno della semifinale di Coppa UEFA i plavi (blu) furono beffati dal Videoton ungherese a tre minuti dalla fine. Ora invece alcune zone sono minate e vicino alla gradinata si scorge una postazione con i sacchetti di sabbia; resiste ancora la curva dei tifosi locali, mentre la caratteristica tribuna in legno è andata bruciata all’inizio della guerra. Era sabato quel 4 aprile 1992 e in programma c’era Željezničar-Rad Beograd. Nel pomeriggio iniziarono i primi combattimenti nella zona circostante lo stadio e la partita non venne mai giocata: l’assedio sarebbe cominciato ufficialmente due giorni dopo.
I dirigenti del club riuscirono a mettere in salvo le cose più importanti. Nella sede attuale, nel quartiere di Marijndvor, campeggiano alcune vecchie foto delle gloriose squadre del passato, i cui undici vengono ancora ricordati dai sarajevesi. «Quello rimane l’unico vero Željo», ci diceva qualche tempo fa Vlado Čapljić (che ora vive lontano dalla sua città), facendo riferimento all’esistenza di un altro Željezničar, nella parte serba.
Il club durante tutto questo tempo ha continuato la sua attività al coperto, nel palazzo dello sport di Skenderija o in una scuola elementare, anche grazie all’aiuto di alcuni ex giocatori, come Mišo Smajlović (ora dirigente) e Edin Sprečo, direttore tecnico. È quest’ultimo a spiegarci come la situazione del club sia precaria: «L’età media della prima squadra si aggira intorno ai vent’anni, anche se tutti i giocatori sono cresciuti nel club, come da tradizione nello Željo. Abbiamo qualche elemento interessante come il mancino Pehlivanović o il terzino destro Biščević. Gli spettatori, ovviamente, non pagano il biglietto e l’unico finanziamento del club proviene dal presidente, titolare di una ditta di import-export». Lo Željo naviga attualmente a metà classifica del campionato bosniaco (a cui si affiancano quello croato dell’Herceg-Bosna e quello serbo della Republika Srpska, specchio della divisione ancora in atto tra le varie comunità in Bosnia), il cui livello è comunque modesto. «In questo momento – continua Sprečo – tutti stanno tentando di uscire da una situazione molto difficile, ma speriamo di recuperare al più presto la grande tradizione dello Željo ». Intanto ci sono concrete speranze che il derby contro il FK Sarajevo, in programma il 2 maggio, si possa giocare nello stadio della Grbavica. Potrebbe essere il primo passo verso la rinascita.
A inizio giugno, sempre del 1996, andai alla Plava Laguna di Poreč/Parenzo in Istria dove la Croazia si stava preparando agli Europei che si sarebbero disputati di lì a poco in Inghilterra. Tra i personaggi che avevo intervistato c’era anche Mario Stanić, che allora giocava nel Brugge (Belgio).
Una delle mie domande fu: Tra le molte esperienze che hai passato c’è stata anche la guerra: sei cresciuto nello Željezničar di Sarajevo e sei uscito dalla città poco dopo l’inizio dell’assedio.
E la sua risposta: «Sì, sono croato di Sarajevo. Sai, per me è difficile parlare dell’argomento perché io non ho provato ciò che ha passato questa gente: il terrore, rimanere assediati per tre anni e mezzo, senza acqua, elettricità, cibo; con ogni giorno dei morti… Comunque sia, sempre sentirò dentro qualcosa di speciale per quella città, che per me era veramente la migliore del mondo. Se per esempio un giorno dovessi giocare con il Milan, penso che non sarei contento come quando giocavo con lo Željo. La verità è che dopo quasi quattro anni la città mi manca molto: spero di poterci tornare subito dopo gli Europei, anche se non sarà più la stessa cosa. Ho passato un anno molto difficile dopo essere uscito dalla città per andare a Zagreb; ora gioco per la nazionale croata ma allora le cose non erano così chiare: forse se fossi rimasto ora giocherei con la Bosnia».
Come egli stesso dice, «sono le difficoltà della vita; è necessario essere forti e riuscire a superarle», per crescere come persona. Intanto agli Europei non partirà da titolare, ma il selezionatore Blažević lo considera la sua «arma segreta» e se Mario Stanić dovesse essere la sorpresa degli Europei sarà ancora più difficile strapparlo al Brugge.
Infatti all’inizio della stagione successiva avrebbe firmato per il Parma, club in cui giocò per quattro anni, per essere poi ceduto al Chelsea (altri quattro campionati).
Le mie foto qui riprodotte si riferiscono a come si presentava la “Grbavica” nel 2004. Una delle sue caratteristiche è che la tribuna principale, cioè quella più comoda, è la curva in cui trovano spazio gli ultras.
Veramente emozionante il video della semifinale
Uefa del 1985!! Che era una Coppa che ancora interessava e riempiva gli stadi (non come adesso dove contano solo i milioni della Champions…); basti pensare che se non sbaglio nell’altra semifinale si affrontavano Inter e Real Madrid…
Son rimasto sorpreso di vedere con la maglia n.8 dello Zeljo Haris Skoro, indimenticata ala destra del Torino che citiamo spesso (con molta nostalgia…) con il tifosissimo granata Marco Marini… E pensare che quel Toro (in cui militava anche il brasiliano Muller!) riuscì a retrocedere in serie B, sconfitto all’ultima giornata dal Lecce di Mazzone..
A vedere i riflessi filmati (come si diceva una volta, prima degli highligths..) l’eliminazione fu una beffa atroce, vedendo la quantità di occasioni sprecate dai plavi, puniti nell’unica azione ungherese (almeno di quelle mostrate…). Immagino la delusione cocente di quella sera (che era sicuramente mercoledì, visto che era l’epoca di “unaltrocalcio”, appunto…) per Paolo Negri, tifosissimo dello Zeljo… Comunque che forte Mehmet Baždarević!!!
Bella anche l’intervista a Mario Stanic, la frase ” Se per esempio un giorno dovessi giocare con il Milan, penso che non sarei contento come quando giocavo con lo Željo” fa capire quali sono i valori del calcio che si sono persi…
Sarà possibile recuperarne almeno qualcuno? Durissima, ma io sono un inguaribile ottimista su certe cose…
grande miele!
mi fa piacere che tu legga e partecipi.
come idea, questi scritti e le storie erano fatti soprattutto per gli amici piu’ vicini, e ci sono altri che non hanno ancora letto niente!
aspetto altri commenti, quando hai tempo.
g
ps. sei specializzato sulla coppa uefa!