19 March 2024

Terzo anniversario dell’“indipendenza” del Kosovo. La vergogna che pochi raccontano

Venerdì 18 febbraio 2011

Ieri cadeva il terzo anniversario dell’“indipendenza” del Kosovo, autoproclamata ma fortemente caldeggiata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati (Italia compresa). Kosova, come lo chiamano gli albanesi, è stato finora riconosciuto da 75 stati al mondo (su 192 che siedono all’ONU): non l’hanno fatto cinque paesi dell’Unione Europea (quelli che hanno al loro interno problemi con minoranze), né è (ancora) accaduto alle Nazioni Unite anche per l’opposizione di Russia e Cina.

È interessante notare che ieri sui mezzi di comunicazione non è uscito molto sull’argomento. Forse perché c’è poco da festeggiare: il “paese” è poverissimo e si sostiene solo sugli aiuti internazionali, gli indici di disoccupazione sono alle stelle, la crisi politica e sociale è evidente, con la criminalità legata o direttamente organizzata dal potere che controlla i lucrosi e variegati traffici, la corruzione è a livelli estremi, il dialogo con Belgrado che non avanza.

Il tutto alla presenza di migliaia di soldati e civili internazionali. Nello scorso dicembre grazie al rapporto del senatore svizzero Dick Marty è scoppiato l’ennesimo scandalo, stavolta per un traffico di organi (di serbi e di albanesi collaborazionisti) risalente al 1999.

Vi sarebbe coinvolto anche Hashim Thaçi, Primo Ministro uscente e futuro, ex capo dell’UÇK, poi riciclatosi in politica con il suo partito PDK, e principale alleato degli Stati Uniti nella regione fin dai tempi di Bill Clinton e di Madeleine Albright.

Dopo molte settimane di stallo seguite alle elezioni di dicembre, proprio in questi giorni Thaçi ha offerto la presidenza del Kosovo al suo nuovo alleato, Behgjet Pacolli più noto per essere stato tra il 1999 e il 2002 marito di Anna Oxa (che in realtà si chiama Iliriana Hoxha, lo stesso cognome dell’ex dittatore albanese). Il multimilionario Pacolli ha costruito un’immensa fortuna attraverso la sua impresa di costruzioni Mabetex basata in Svizzera e attivissima tra l’altro nella Russia del periodo anarchico di Boris El’cin e poi contribuendo decisamente all’inarrestabile espansione di Astana, la nuova immaginifica capitale del Kazakhstan. Ha poi deciso di tornare nel natìo Kosovo dove ha fondato il partito AKR (Alleanza per un Nuovo Kosovo). Del nuovo governo dovrebbe far parte anche Slobodan Petrović del Partito Liberale Serbo, uno dei (pochi) serbi che ha partecipato alle ultime elezioni. Potrebbe essere un segno di distensione, ma la realtà è abbastanza diversa.

Quello che è accaduto in Kosovo dall’entrata delle truppe NATO nel 1999 è uno scandalo di cui pochi parlano, con la minoranza serba spesso costretta a vivere rinchiusa in enclave grandi e piccole.

La cosiddetta “Comunità Internazionale” che nel 1999 era ufficialmente intervenuta per fermare la pulizia etnica, in questi undici anni di amministrazione ha permesso che gli albanesi ripulissero la provincia di tutte le altre etnie, e non si è opposta alla creazione di veri e propri ghetti in cui vive la popolazione serba. Circa 150 tra chiese e monasteri serbi sono stati distrutti.

Non è un segreto che il Kosovo sia diventato in questi anni il crocevia dell’eroina afgana e di altri traffici illeciti, in cui sono coinvolti i più importanti personaggi politici della regione.

E, fatto ancor più preoccupante, quasi nessuno denuncia questa situazione assurda, con i mezzi di comunicazione internazionali che brillano per la loro assenza. Anzi, come premio, per i “progressi” fatti, gli Stati Uniti (seguiti pedissequamente dalla maggior parte degli europei) hanno riconosciuto l’indipendenza della provincia.

Uno dei pochi che ha denunciato questa situazione è stato invece Riccardo Iacona di RAI 3, che un paio di anni fa in un’inchiesta sui traffici tra Kosovo e Afghanistan aveva presentato, forse per la prima volta in prima serata in Italia, un’immagine molto diversa rispetto alle rose e fiori (o semplicemente il nulla) a cui siamo abituati. Il reportage si chiamava La guerra infinita, qui di seguito gli otto frammenti del servizio che riguardano il Kosovo:

In Kosovo sarebbero attualmente rimasti circa 100mila serbi, dei quali la metà nella zona nord, territorio contiguo al resto della Serbia, che arriva fino alla città divisa di Mitrovica. Circa 18mila vivrebbero nell’enclave più importante, quella di Gračanica e Lipljan, organizzata in diversi villaggi, mentre 14mila starebbero a Štrpce, nel sud. Il resto vive in una costellazione di villaggi più piccoli, in cui i serbi sono rinchiusi in piccoli territori circondati dal filo spinato. Per uscire, devono contare sull’aiuto dei blindati internazionali della KFOR che, in teoria, li “proteggono”.

Non fu così nel 2004, con il pogrom del 17 marzo, quando gli albanesi marciarono su tutte le enclave serbe della regione mettendole a ferro e fuoco sotto gli occhi dei soldati internazionali che non mossero un dito per fermarli.

Si tratta sicuramente di una questione prettamente geopolitica: l’unica Superpotenza rimasta e la Russia (che sta recuperando terreno) giocano su uno scacchiere molto più ampio.

Annientate nel sangue le velleità secessioniste della Cecenia, da tempo la Russia di Putin appoggia più o meno direttamente i ribelli di Abkhazia e Ossezia del Sud così come quelli della Transdnistria [regione secessionista della Moldova, si veda il reportage in questo sito], ma nel contempo sostiene la Serbia a livello internazionale sulla spinosa questione del Kosovo. Al contrario, gli Stati Uniti supportano incondizionatamente gli albanesi nell’indipendenza della provincia serba, ma negano l’esistenza delle fantomatiche regioni russofile [si veda il reportage in questo sito su “Gas e petrolio, la nuova Via della Seta”].

Di seguito, i collegamenti ai tre articoli pubblicati in questo sito sull’argomento.

Come sempre, salvo indicazione contraria tutte le foto presenti in questo sito sono mie

Comments

  1. Grazie Ale, il tempo passa e magari si tende a rimuovere il passato kosovaro… fra l’atro qui ho incrociato un kosovaro (in Uganda!), domani quando lo vedo gli faccio gli auguri per l’anniversario e vediamo che mi dice… un abbrazz

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